Come contrastare l’epidemia di violenza sulle donne? Ancora scarse le informazioni sull’efficacia dei trattamenti

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Ad allarmare, quando si parla di violenza sulle donne – violenza di qualsiasi tipo, fisica e mentale – non è solo la prevalenza, ma anche la cronicità. Statisticamente, una grossa fetta delle donne che è stata vittima di violenza una volta lo sarà ancora, e in molti casi per molto tempo. E nella maggior parte dei casi  a perpetrare la violenza è il partner.

Una relazione su tre nel mondo (dato WHO, 2013) ha incluso una qualche forma di violenza, e non parliamo solo di paesi in cui i diritti della donna non sono ancora equiparati a quelli dell’uomo nemmeno sulla carta: nei paesi ricchi, circa una donna su 4, il 23%, ha sperimentato violenza da parte del partner, e il 12,6% da parte di sconosciuti. Sono numeri agghiaccianti, perché mostrano senza troppi giri di parole che non siamo ancora riusciti a frenare questo fenomeno, nonostante i progetti messi in piedi, le raccomandazioni delle Organizzazioni Internazionali, le campagne che ciclicamente ci propongono i mass media.

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Collaborazioni internazionali: ecco la classifica di Nature. E l’Italia primeggia nella fisica

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La collaborazione internazionale fra centri di ricerca oltre a essere senza dubbio un punto di forza per un paese, ci fornisce il polso della situazione su diversi aspetti della ricerca stessa, fra cui quello geopolitico, cioè capire come si stanno muovendo le forze in gioco sulla plancia mondiale. Oltre a dirci se come paese stiamo facendo abbastanza. Per fare un esempio, dai dati emerge che gli Stati Uniti e la Cina stanno hanno all’attivo numerose collaborazioni nell’ambito delle scienze ambientali e del global warming.

La rivista Nature ha pubblicato in questi giorni una piattaforma ricca di dati, navigabili in modo semplice e interattivo, che raccontano il mondo delle collaborazioni scientifiche fra i diversi paesi del mondo, proponendo una classifica delle 100 istituzioni più “virtuose” in questo senso, secondo il Nature Index, che misura le occorrenze delle affiliazioni degli autori di articoli pubblicati sulle 68 maggiori riviste scientifiche mondiali fra il 1 settembre 2015 e il 31 agosto 2016.

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I numeri dell’Italia fragile

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Il 2015 in Italia ha visto 28 morti, 25 feriti e oltre 3500 tra sfollati e senzatetto per mano di frane e alluvioni, in 88 comuni appartenenti a 19 regioni. Un totale di 106 frane e 33 inondazioni in un solo anno. Ampliando il periodo di indagine, fra il 2010 e il 2014 il numero cresce fino a contare 145 morti, 2 dispersi, 205 feriti e oltre 44 mila sfollati. Se abbracciamo gli ultimi 50 anni poi, si toccano i 2000 morti e ben 430mila persone che hanno perso la propria casa. Lo racconta un recente bollettino curato dall’Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica del Consiglio nazionale delle ricerche (Irpi-Cnr) di Perugia.
L’arrivo di frane e alluvioni non si può prevedere con esattezza, ma certamente il loro impatto dipende dall’utilizzo che facciamo del nostro territorio. Proprio il 14 settembre scorso il Governo ha pubblicato in Gazzetta Ufficiale il DPCM con i dettagli sul Fondo per la progettazione degli interventi contro il dissesto idrogeologico, un fondo da 100 milioni di euro a cui potranno attingere, tramite richiesta, i presidenti delle regioni: 24 milioni per il 2016, 50 milioni per il 2017 e 26 milioni per il 2018. Sono abbastanza? Quello che è certo è che il dissesto idrogeologico ha un costo stimato annuo di 2,5 miliardi di euro, come mostra il recentissimo rapporto dell’ANBI (l’ente che rappresenta i consorzi di bonifica italiani), che il 22 settembre scorso ha presentato il proprio piano per la Riduzione del Rischio Idrogeologico “Manutenzione Italia 2016 – Azioni per l’Italia sicura”. Il piano parla di ben 3581 interventi che sarebbero necessari in Italia, per un totale di oltre 8 miliardi di euro di investimenti.
E il Paese intanto mostra le sue fragilità. Il 10% del nostro territorio nazionale è formato da aree a elevata criticità idrogeologica, come illustra l’ultimo rapporto di ISPRA, con i dati aggiornati al 2015. Il 19% del territorio italiano è a rischio frane e il 23% è a rischio alluvioni. Solo 12 comuni su 100 in Italia sono completamente esenti, mentre per il restante 88% il rischio incombe, o su un fronte o sull’altro. Su 8000 comuni italiani infatti, circa 3900 hanno nel loro territorio criticità sia sul versante frane che alluvioni.

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Nuovo rapporto OMS: inquinamento oltre i limiti per nove persone su dieci

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Qualche giorno fa l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha pubblicato gli ultimi dati sull’inquinamento dell’aria, aggiornati a dicembre 2015, e ancora una volta l’allarme è netto: meno di una persona su 10 nel mondo respira un’aria che rispetta le più recenti linee guida in materia di inquinamento da PM10 e PM2.5.

Una situazione che porta con sé conseguenze importanti per la salute della popolazione: oltre 3 milioni di morti nel 2012 dovute a malattie croniche riconducibili all’inquinamento ambientale e se si considera anche l’inquinamento “indoor” cioè quello domestico, il numero di morti annue sale a 6.5 milioni. Un dato quest’ultimo che apparentemente può sembrare “confortante”, dal momento che qualche mese fa sempre l’OMS parlava di 7 milioni di morti annue, ma – precisa l’OMS – la differenza è dovuta solamente a una migliore quantificazione proposta in quest’ultimo rapporto, che per la prima volta raccoglie i dati paese per paese. Niente a che vedere dunque con un miglioramento della qualità dell’aria.

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