È vero che i giovani italiani vanno meno all’università dei coetanei europei?

Un dato emergerebbe dall’ultima rilevazione di Eurostat: in Italia si laurerebbero pochissimi ragazzi rispetto al resto d’Europa. Nel complesso sembra vero. Se mettiamo tutti i livelli di istruzione post diploma in un unico mastello (quello della Tertiary Education) in Italia nel 2021, i 30-34enni in possesso di un titolo di studio terziario sono il 26,8%, una percentuale nettamente inferiore alla media UE, che raggiunge il 41,6%. Parliamo di una quota che, negli ultimi anni, è rimasta pressoché invariata, quando invece l’obiettivo europeo è raggiungere il 45% entro il 2030 nella classe 25-34 anni, come definito nella risoluzione del Consiglio sul “Quadro strategico per la cooperazione europea nel settore dell’istruzione e della formazione”.

Eppure, se andiamo a vedere i dati precisi degli studenti attualmente iscritti emerge una situazione diversa. Che cosa significa “laureati”?

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Ci sposiamo di meno. E quindi? Serve ancora contare i matrimoni?

In Italia ci teniamo sempre molto a contare i matrimoni “persi”, e nel post pandemia anche quelli “recuperati”, dando per scontato che il matrimonio sia sempre stato un indicatore di qualche cosa, che sia la fiducia nel futuro, negli altri, nella fedeltà, nel “per sempre”. La conclusione sottesa, spesso ancora prima di cominciare, è che oggi i giovani credono di meno in tutto questo. Semplicemente contando i matrimoni ci si aspetta di inquadrare i contorni di una presunta “instabilità” dell’interiorità dei giovani, come se si potessero desumere conclusioni su un tema antropologico così grande da qualche dato scarno. Al massimo, se si vuol parlare di instabilità, che sia instabilità delle tradizionali strutture sociali.

L’ultima nota Istat riporta che nel 2021 abbiamo avuto 180.416 matrimoni, il 2% in meno rispetto al 2019. Sottolineiamo sempre anche che i matrimoni religiosi sono in calo (-5,1%) rispetto al periodo pre-pandemico. Chissà che le ultime parole di Papa Francesco sulla non contraddizione per un sacerdote nel potersi sposare (“Il celibato nella Chiesa occidentale è una prescrizione temporanea. Non è eterna come l’ordinazione sacerdotale, che è per sempre, che piaccia o no. Il celibato, invece, è una disciplina.”) non contribuiscano a recuperare il “perduto”.
Un matrimonio su due è oggi infatti celebrato con rito civile e in 3 casi su 4, inclusi i matrimoni religiosi, si sceglie il regime patrimoniale di separazione dei beni (era il 40,9% nel 1995).
Poi ci sono le unioni civili fra persone dello stesso sesso, legali dal 2016, che vengono sempre conteggiate a parte rispetto ai matrimoni. Nel 2021 si sono costituite 2.148 famiglie da unioni civili tra coppie dello stesso sesso presso gli Uffici di Stato Civile dei Comuni italiani, in linea con il pre-pandemia.

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La scienza oggi è meno rivoluzionaria? Sì e forse va bene così 

La nota rivista scientifica Nature ha aperto il 2023 con un articolo provocatorio, dove gli autori, avanzano l’ipotesi che la scienza degli ultimi anni sia meno “rivoluzionaria” rispetto a quella dei decenni precedenti. Il termine inglese che si usa qui, e in genere anche in Italia oramai è distuptive, un’espressione presa a prestito dall’economia. Nel business, un’innovazione “disruptive” è quella che riesce a creare un nuovo mercato o è talmente potente da riuscire in poco tempo, iniziando dal basso, a stravolgere un mercato esistente. In ambito scientifico si intende con questa espressione un’innovazione – intesa come un insieme di pubblicazioni scientifiche in un certo campo – che imprimono al proprio campo una forza tale da incidere sulla direzione della ricerca. Secondo la capacità di “disruption” della scienza è crollata negli ultimi anni.

Non si tratta di una boutade, di una provocazione da inizio anno. Il tema è interessante e sta suscitando un certo dibattito all’interno della comunità scientifica.

Spoileriamo subito: in realtà quello che è emerso è che sebbene la percentuale di ricerche dirompenti sia diminuita in modo significativo tra il 1945 e il 2010, il numero di studi altamente dirompenti è rimasto pressoché invariato. Insomma: non abbiamo meno rivoluzione scientifica, ma semmai più scienza che consolida, accanto a quella “distuptive”. Si fa più scienza, rispetto a quarant’anni fa, si pubblica infinitamente di più. Oltre al fatto che negli anni Quaranta e Cinquanta veniva considerato “rivoluzionario” qualcosa che forse oggi giudicheremo un “passo in avanti significativo”. È interessante per esempio che gli autori abbiano analizzato i verbi più comuni usati nei paper scientifici. Mentre la ricerca negli anni Cinquanta/Settanta usava più spesso parole che evocavano la creazione o la scoperta come “produrre” o “determinare”, quella condotta negli anni 2010 era più probabile che si riferisse a progresso incrementale, usando termini come “migliorare”.

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Come ci scalderemo questo inverno se elettricità, gas, legna e pellet sono alle stelle? 

Chi vive con 2000 euro al mese, o meno, in questa fine estate sta sperando che l’inverno non sia troppo freddo. Come nei racconti dei nonni di tanti anni fa. Non solo il prezzo del gas metano, ma anche quello della legna e soprattutto dei pellet, sono fuori controllo.

Non si tratta di problemi di second’ordine: grossa fetta delle persone che vivono in zone rurali in Italia, in particolare ad altitudini che d’inverno raggiungono le temperature più fredde, si scalda ancora con legna e pellet, perché banalmente l’abitazione non è stata allacciata alla rete per il metano. Stando ai dati Istat, nel 2021, solo il 78,3% delle case italiane sono allacciate al metano. Un altro 13% acquista gas in bombola, in un altro 4,6% è installato un bombolone esterno con rifornimento periodico.

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