I giovani laureati trovano più lavoro degli altri. Specie fra le ragazze 

“È meglio se scegli un istituto professionale, così almeno ti tieni aperte più opportunità. Con il liceo dovrai andare all’università, e chissà se poi troverai lavoro”. Molte famiglie articolano ancora oggi questo pensiero ai propri figli, in buona fede. Chi lo nega, è perché non frequenta molto i bar di provincia, i centri di aggregazione del dopo lavoro, le fabbriche.
Eppure oggi questa equazione sembra essere falsa. Stando a una recente nota Istat, nel 2022, il tasso di occupazione dei laureati raggiunge l’83,4%, valore superiore di 11 punti a quello dei diplomati (72,3%) e di 30 punti a chi ha conseguito al più un titolo secondario inferiore (53,3%). Si conferma, dunque, l’evidente “premio” occupazionale dell’istruzione, in termini di aumento della probabilità di essere occupati al crescere del titolo di studio conseguito. Fra le giovani donne il vantaggio occupazionale dato dall’aver studiato di più è decisamente più evidente che fra i ragazzi della stessa età. Il tasso di occupazione delle laureate è di 23,5 punti più elevato rispetto a quello delle diplomate, differenza che si riduce a 18,4 punti tra le 25-64enni e a 14,3 punti nella media Ue.

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Chi aiuta i bambini con i compiti? I ruoli di genere sono ancora ben radicati 

Anno 2022. Nella fascia di età 25-54 anni se c’è un figlio minore in famiglia, il tasso di occupazione per le mamme si ferma al 63%, contro il 90,4% di quello dei papà. Se i bambini sono due il tasso di occupazione femminile scende al 56%, mentre i padri che lavorano sono ancora di più, il 90,8%). Nel 2021, delle 52.436 dimissioni totali, il 71%, cioè 37.662, hanno riguardato madri, una percentuale che arriva all’81% tra i giovani fino a 29 anni. Tra gli uomini il 78% delle dimissioni è legato al passaggio ad altra azienda e solo il 3% alla difficoltà di conciliazione tra lavoro e attività di cura, mentre per le donne questa difficoltà rappresenta complessivamente il 65,5% del totale delle motivazioni.
In una indagine realizzata da Ipsos per Save the Children e contenuta nel rapporto “Le Equilibriste” pubblicato a maggio 2023, le di bambini con meno di 2 anni raccontano un chiaro vissuto di solitudine e fatica, dall’evento del parto alla ricerca di un nuovo equilibrio nella vita familiare e lavorativa.

Cinque ore contro meno di due

Sempre stando alla rilevazione di Save the Children, cinque ore e 5 minuti al giorno è il tempo dedicato dalle donne in Italia al lavoro non retribuito di cura domestica e della famiglia, contro un’ora e 48 minuti degli uomini. Il 74% del carico grava quindi sulle donne, e anche quando contribuiscono al reddito e al lavoro tanto quanto gli uomini, dedicano alla cura 2,8 ore in più di loro, che salgono a 4,2 quando ci sono i figli. Si intravede tuttavia che piano piano qualcosa sta cambiando. Sebbene i congedi di paternità siano ancora pochi in proporzione a quelli femminili, è in crescita il numero dei padri che ne usufruiscono. In dieci anni dal 2013 al 2021 i congedi di paternità sono quadruplicati raggiungendo quota 155.845 nel 2021, contro i 50.500 del 2013, per un tasso di utilizzo che è passato dal 19,23% al 57,6%.

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32 donne al giorno finiscono al Pronto Soccorso per violenza. Ma solo per una su 10 si sa chi è stato 32

11.771 sono le donne che nel 2021 sono state curate al Pronto Soccorso in seguito a un episodio classificato come violenza come contusioni, traumi, distorsioni di arti. 32 donne al giorno. 18,4 accessi per questo motivo su 10 mila accessi complessivi. Come se ogni giorno 32 ospedali in 20 regioni italiane avessero dovuto accogliere una donna dopo un episodio di violenza subita. Nello specifico fra le donne il 5% delle dimissioni ospedaliere con indicazione di violenza ha avuto come esecutore un familiare: il 2,8% il padre, il patrigno o il fidanzato (era l’1,9% nel periodo pre-pandemico), il 2,15% il consorte o il partner e lo 0 24% un altro familiare.
Se sembrano cifre basse, si consideri che l’informazione sull’esecutore della violenza è ancora poco presente nei dati raccolti: si hanno dati su chi è stato a commettere la violenza solo per il 10,8% dei ricoveri femminili.

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È vero che i giovani italiani vanno meno all’università dei coetanei europei?

Un dato emergerebbe dall’ultima rilevazione di Eurostat: in Italia si laurerebbero pochissimi ragazzi rispetto al resto d’Europa. Nel complesso sembra vero. Se mettiamo tutti i livelli di istruzione post diploma in un unico mastello (quello della Tertiary Education) in Italia nel 2021, i 30-34enni in possesso di un titolo di studio terziario sono il 26,8%, una percentuale nettamente inferiore alla media UE, che raggiunge il 41,6%. Parliamo di una quota che, negli ultimi anni, è rimasta pressoché invariata, quando invece l’obiettivo europeo è raggiungere il 45% entro il 2030 nella classe 25-34 anni, come definito nella risoluzione del Consiglio sul “Quadro strategico per la cooperazione europea nel settore dell’istruzione e della formazione”.

Eppure, se andiamo a vedere i dati precisi degli studenti attualmente iscritti emerge una situazione diversa. Che cosa significa “laureati”?

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