Dal 2020 al 2022 abbiamo perso medici dipendenti. E in futuro? 

Lo dicono i dati appena pubblicati dal Ministero della Salute sui dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale: nel 2022 si contavano 101.827 medici e odontoiatri, contro i 103.092 del 2020 e 268.013 infermieri, contro i 264.686 del 2020. Nel complesso quindi abbiamo 2,6 infermieri per ogni medico.
Questi dati ci dicono tutto? No, perché accanto ai numeri dei dipendenti ci sono quelli dei “gettonisti”, un fenomeno che è scoppiato durante la pandemia e che non accenna a diminuire: coprire il fabbisogno pubblico con dei professionisti a cottimo molto meglio pagati. Un sondaggio proposto dalla Federazione Cimo Fesmed nel 2022 a mille medici ha evidenziato che il 37% di loro dichiara di essere pronto a dimettersi da dipendente del Servizio sanitario nazionale per lavorare con una cooperativa a gettone, percentuale salita il 50% fra i medici più giovani.

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In Italia arriveranno quasi 9 milioni di euro per le malattie croniche. Ecco cosa è PreventNCD 

8,7 milioni di euro arriveranno in Italia nei prossimi 4 anni per una Joint Action (JA) europea per la prevenzione delle malattie non trasmissibili (in inglese NCD – Non Communicable Diseases) come tumori e patologie cardiovascolari, considerando anche i determinanti di salute.

La JA è iniziata il primo gennaio 2024 e durerà 4 anni, con scadenza la fine del 2027. L’Italia è uno dei 25 paesi membri della JA PreventNCD, un progetto con un bilancio di 95,5 milioni di euro in totale, di cui 76,5 milioni di euro coperti dalla UE e il restante 20% dai 25 paesi. 95,5 milioni di euro rappresentano il 20% del budget sanitario totale dell’Unione Europea. Cifre importanti, che non si sentono spesso nel settore.

Il progetto è guidato dalla Norvegia ed è sostenuto da oltre 100 partner che mira a ridurre l’onere del cancro e di altre malattie non trasmissibili affrontando sia i fattori di rischio che i determinanti sociali di salute.

In Italia questi 8,7 milioni di euro verranno suddivisi fra 14 partner. All’ISS, che è l’autorità di riferimento del progetto per l’Italia, andranno 3,8 milioni di euro, una parte consistente del totale (3 milioni dei quali di finanziamento UE) suddivisi tra diversi WPs tra cui il WP7 (Disuguaglianze Sociali) con coordinamento affidato all’ISS e il WP8 (Monitoraggio) con co-coordinamento affidato all’ISS.

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I ruoli di genere in TV. I dati del rapporto Rai (c’è ancora tanto lavoro da fare) 

Forse non tutti sanno che nell’ambito del vigente contratto di servizio 2018-2022 con il Ministero dello sviluppo economico per la concessione del servizio pubblico televisivo, radiofonico e multimediale, Rai è vincolata – attraverso i suoi programmi – ad una rappresentazione corretta e attenta dell’immagine della figura femminile, ad un effettivo e compiuto pluralismo dei temi, dei soggetti e dei linguaggi, nonché a favorire la creazione di coesione sociale.

Ma come stanno le cose? Un Rapporto RAI 2022 ha monitorato 1.750 trasmissioni per un totale di 31.020 invitati e invitate. Risultato: viene invitata una donna ogni due uomini. Nel 2021 la quota di persone/personaggi femminili all’interno delle trasmissioni monitorate ha infatti raggiunto il 36,8%, contro il 62,9% di quelli di genere maschile.

In tutte le tipologie di programmi gli uomini invitati come ospiti sono più delle donne, ma con significative variazioni. La presenza femminile più elevata si ha tra i personaggi delle fiction (41,9%) e nell’intrattenimento (40,2%). Seguono le giornaliste presenti nei programmi di informazione: il 38,5% di chi cura rubriche nei TG è donna; così come il 37% di chi lavora nei telegiornali e nell’approfondimento informativo. Più bassa la percentuale di donne presenti o invitate nei programmi culturali (il 32,4%), per scendere poi al 15,8% nelle rubriche sportive. Le donne impiegate in ruoli importanti nelle trasmissioni non fiction, come le conduttrici, superano il 50% (53,3%), mentre le inviate o corrispondenti si mantengono sui valori più bassi. Le opinioniste sono solo il 30,1% e le esperte solo il 22,8%, le conduttrici/giornaliste il 44%.

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I primi dati nazionali su SARS-CoV-2 nelle acque reflue 

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In due anni di pandemia si sono susseguiti diversi studi locali che avevano lo scopo di intercettare e quantificare la presenza di SARS-CoV-2 nelle acque reflue urbane italiane. Il 14 aprile 2022 è uscito il primo rapporto nazionale dell’IStituto Superiore di Sanità che copre il periodo 1 ottobre 2021-31 marzo 2022 e che raccoglie i dati di 19 regioni/province autonome su 21, per un totale di 168 impianti di trattamento delle acque reflue in tutta Italia e 3.797 campioni analizzati, che rappresentano 31 milioni di italiani. I dati provengono da 12 ARPA regionali, da 8 istituti zooprofilattici, da 7 laboratori di ricerca sulle acque reflue e da enti di ricerca e università (elenco completo delle città coinvolte a pagina 6 e seguenti).
Le due regioni che non stanno raccogliendo dati in merito sono Calabria e Sardegna. La Regione Calabria avvierà l’analisi sistematica nell’aprile 2022, mentre la Regione Sardegna non ha ancora fornito un piano operativo per attivare la sorveglianza.

Risultato: fra gennaio e febbraio nella maggior parte delle regioni il 100% di questi campioni ha mostrato la presenza di RNA di SARS-CoV-2, rispecchiando le due onde Omicron registrate.

Qual è il senso di cercare il virus nelle acque reflue? La diffusione fecale di SARS-CoV-2 da parte di individui infetti (sintomatici ma anche asintomatici!) è nota sin dall’inizio della pandemia. Può essere utile avere questo dato come sistema di allerta precoce capace di prevedere focolai di COVID-19 giorni prima dei casi clinici, come strumento in grado di stabilire tendenze dei focolai in corso, per stimare la prevalenza delle infezioni, e per studiare le differenze genetiche di SARS-CoV-2. Tuttavia, la ricerca sull’analisi dei dati è ancora in fase di sviluppo per definire con precisione i tempi sufficienti per intercettare un possibile focolaio prima che si manifesti fra la popolazione (studi internazionali parlano di un range che va da 4 a 7 giorni).

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