Sette pazienti su 100 si sono infettati in ospedale, e 1 batterio su 3 è risultato resistente ai farmaci 

Il 7% dei pazienti ospedalieri fra il 2022 e il 2023 ha avuto almeno un’infezione correlata all’assistenza (in termini tecnici: ICA). Solo una su quattro era già presente, con una prevalenza è stata più alta nei pazienti in terapia intensiva, dove circa il 20% aveva vissuto un’infezione ospedaliera durante o dopo il ricovero. La prevalenza dei pazienti con almeno una ICA variava dal 4,4% negli ospedali più grandi (con più posti letto) al 7,7% negli ospedali più piccoli.

Sono i dati pubblicati il 6 maggio scorso nel rapporto “Point prevalence survey of healthcare-associated infections and antimicrobial use in European acute care hospitals 2022–2023” dall’ECDC e si riferiscono a 28 Paesi dell’UE/SEE più Kosovo, Montenegro e Serbia, per un totale di 293.581 pazienti considerati provenienti da 1.250 ospedali e 22.806 ICA segnalate.

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Perché i farmaci scarseggiano? Tutti i meccanismi dietro un fenomeno diffuso

Più Italia, meno Europa, si sente dire… Poi basta porre mente alle complesse dinamiche delle cure farmacologiche per capire che chiudendosi si fa poco, come mostra anche il caso britannico.

Parliamo di carenza di farmaci antidiabete, di immunoglobuline e chi più ne ha più ne metta (la lista dell’AIFA ne conta migliaia).

Perché accade anche in un paese “ricco” come l’Italia?

Abbiamo fatto una chiacchierata con Stefano Moro, Direttore del Dipartimento di farmacologia dell’Università di Padova.

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Miosite, la storia di Marco: “Non mangiavo più, ora sono rinato grazie alle giuste terapie”

Fino a qualche anno fa la miosite e la dermatomiosite in forma grave avevano quasi sempre una prognosi molto difficile. Oggi, grazie a nuovi farmaci quali gli anticorpi monoclonali, le cose sono diverse. A fine febbraio Marco, 52 anni, non si alzava più dal letto, neanche per andare in bagno. In appena due mesi dall’esordio dei sintomi aveva perso oltre 20 chili, non riusciva più a mangiare, tanto che gli hanno dovuto inserire una PEG per l’alimentazione, poiché i muscoli esofagei non funzionavano perfettamente e c’era il rischio che pezzi di cibo andassero a finire nel canale respiratorio, fatto che causerebbe un’infezione molto grave da gestire.

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Completare gli studi fa bene alla salute come mangiare sano o non fumare 

In media, un adulto con 6 anni di istruzione (all’incirca un livello di scuola primaria nella maggior parte delle aree del mondo) mostra il 13,1% del rischio di mortalità in meno rispetto a chi non ha mai ricevuto alcuna istruzione. Dopo 12 anni di istruzione, (quasi alla fine delle scuole superiori) il rischio di mortalità è più basso del 24,5% e dopo 18 anni di scuola (alla laurea) addirittura del 34,3%. Altrimenti detto: una riduzione media del rischio di mortalità dell’2% per anno di istruzione.

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