Le start up innovative crescono secondo Istat e Infocamere, ma la presenza femminile è ancora bassa

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Le recenti statistiche Istat sono chiare su questo punto: nonostante qualche nota positiva, per le imprese italiane la crisi non è finita, tanto che a marzo 2015 la disoccupazione è aumentata dello 0,3% rispetto ad aprile dell’anno prima. Tuttavia, se da un lato le aziende italiane stentano a risollevarsi, la maggior parte di chi investe in startup innovative, punta proprio sul settore dei servizi all’industria. Ricerca e sviluppo in testa. I numeri del fenomeno sono chiaramente illustrati nel blog di StartUpItalia.

Ma ci sono altri dati che si possono estrapolare in questa situazione. Intanto sono 3711 le startup innovative nei primi 3 mesi del 2015, il 16,7% in più rispetto a dicembre 2014, e la fetta più grossa, circa 3 nuove imprese su 4, ha scelto di occuparsi appunto di servizi per le imprese: produzione di software e consulenza, attività e servizi per la formazione, e ricerca e sviluppo.
Un bell’incremento questo degli ultimi mesi che ha coinvolto 192.047.966 € di capitale sociale, circa 52 mila euro a impresa, il 25% in più rispetto a dicembre 2014. Nonostante questo però le startup innovative rappresentano una fetta sempre minuscola dell’universo imprenditoriale italiano: lo 0,25% delle società di capitale italiane, che toccano oggi quasi quota 1,5 milioni.
La maggiore densità di startup innovative sul totale delle imprese di capitale si concentra nelle province del centro-nord, Trento, Trieste e Ancona in testa.

Sono gli ultimi dati forniti da InfoCamere, aggiornati al 6 aprile scorso. Un dato che emerge prepotentemente sugli altri è lo spiccato orientamento al settore Ricerca e Sviluppo. Secondo i dati InfoCamere, ben il 18,3% delle società di capitali che operano nelle attività di R&S sono startup innovative, una percentuale che appare significativa se pensiamo che esse rappresentano in realtà lo 0,25% del totale delle società di capitale italiane. La ragione di questo dato però è presto detta. Secondo quanto riportato nel decreto legge 18 ottobre 2012 n. 179, una startup innovativa per poter essere definita tale deve far sì che le spese in ricerca e sviluppo siano uguali o superiori al 15 per cento del maggiore valore fra costo e valore totale della produzione.

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Politica, gli italiani si informano di più ma non partecipano

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Quanta e quale partecipazione ci debba essere nella democrazia è uno dei cuori del dibattito politico dai tempi delle poleis greche, e se da un parte oggi misurare la partecipazione politica significaportare in piazza San Giovanni più gente possibile, dall’altra c’è chi come il Movimento 5 Stelle rilancia a suon di sondaggi onlineper portare l’Italia fuori dall’euro.
Che si usino mezzi secolari o contemporanei però il dato è piuttosto netto: gli italiani affermano di interessarsi della cosa pubblica, ma quelli che partecipano sono un’esigua minoranza. Inoltre, nel nostro paese chi non lavora o non ha una situazione lavorativa ottimale partecipa molto meno alla vita politica, sia attivamente, cioè militando all’interno di partiti o sindacati, che indirettamente, ovvero semplicemente informandosi o parlando di politica.

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Salute, in Italia si paga sempre più di tasca propria

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In Italia cresce il numero di chi paga di tasca propria le visite specialistiche e nel 2013 un terzo di questi pazienti ha sborsato in media più di 200 euro. Ma si fanno sentire le differenze regionali a partire dal Lazio.

“La salute è il primo dovere della vita” scriveva Oscar Wilde e pare che quanto a visite specialistiche e accertamenti diagnostici gli italiani ci mettano parecchio delle proprie tasche. Dall’ultimo rapporto Istat infatti, emerge che il 43% degli italiani che nel 2013 si è sottoposto a visita specialistica ha pagato interamente la tariffa, e un terzo di questi ha speso di tasca propria o eventualmente con rimborso oltre 200 euro. Un tasso inferiore rispetto al 2005, dove ha pagato interamente quasi il 50% dei pazienti. Per quanto riguarda invece gli accertamenti diagnostici, cioè gli esami strumentali di approfondimento, più esoneri rispetto al 2005, ma sono un quarto gli italiani che nei dodici mesi precedenti l’intervista hanno pagato interamente la quota, e il 30% di essi sborsando la cifra massima.

 

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