Quanto investono le aziende europee in ricerca e innovazione? La risposta in tre grafici

Gli investimenti in ricerca e l’innovazione delle imprese europee sono paragonabili a quelli del resto del mondo? La risposta sembra essere no. Recentemente la Comunità Europea ha pubblicato un rapporto dal titolo Science, Research and Innovation Performance of the EU 2018, che fa il punto su alcuni aspetti del panorama degli investimenti in Ricerca e Innovazione da parte delle aziende europee.

Il rapporto non discute dunque su ricerca pubblica vs ricerca privata, ma sulla tendenza da parte delle imprese, e degli investitori, di scegliere di credere nella ricerca sulle tecnologie innovative, paragonando ciò che accade in Europa con quello che sta succedendo negli Stati Uniti e in Cina.

Dal rapporto emergono due aspetti della stessa medaglia: se da una parte siamo senza dubbio leader mondiali quanto a eccellenza scientifica, come dimostrava poco tempo fa anche il Science, Technology and Industry Scoreboard 2017 di OCSE, dall’altra riusciamo a tradurre questa eccellenza scientifica in tecnologie e innovazione di valore meno di quanto potremmo.

In Europa chi ha il capitale investe poco in Ricerca a Innovazione, mentre – ed è questa a tesi di fondo del rapporto – solo stimolando gli investimenti in innovazione possiamo concretamente cambiare le cose dal punto di vista dei divari salariali. Garantire un’ampia partecipazione all’innovazione è fondamentale per evitare l’aumento delle disuguaglianze. “Non c’è distruzione generale di posti di lavoro in Europa – si legge nel rapporto- ma i mercati del lavoro si stanno polarizzando, facendo pressione sui salari e sull’ineguaglianza”.

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Le start up innovative crescono secondo Istat e Infocamere, ma la presenza femminile è ancora bassa

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Le recenti statistiche Istat sono chiare su questo punto: nonostante qualche nota positiva, per le imprese italiane la crisi non è finita, tanto che a marzo 2015 la disoccupazione è aumentata dello 0,3% rispetto ad aprile dell’anno prima. Tuttavia, se da un lato le aziende italiane stentano a risollevarsi, la maggior parte di chi investe in startup innovative, punta proprio sul settore dei servizi all’industria. Ricerca e sviluppo in testa. I numeri del fenomeno sono chiaramente illustrati nel blog di StartUpItalia.

Ma ci sono altri dati che si possono estrapolare in questa situazione. Intanto sono 3711 le startup innovative nei primi 3 mesi del 2015, il 16,7% in più rispetto a dicembre 2014, e la fetta più grossa, circa 3 nuove imprese su 4, ha scelto di occuparsi appunto di servizi per le imprese: produzione di software e consulenza, attività e servizi per la formazione, e ricerca e sviluppo.
Un bell’incremento questo degli ultimi mesi che ha coinvolto 192.047.966 € di capitale sociale, circa 52 mila euro a impresa, il 25% in più rispetto a dicembre 2014. Nonostante questo però le startup innovative rappresentano una fetta sempre minuscola dell’universo imprenditoriale italiano: lo 0,25% delle società di capitale italiane, che toccano oggi quasi quota 1,5 milioni.
La maggiore densità di startup innovative sul totale delle imprese di capitale si concentra nelle province del centro-nord, Trento, Trieste e Ancona in testa.

Sono gli ultimi dati forniti da InfoCamere, aggiornati al 6 aprile scorso. Un dato che emerge prepotentemente sugli altri è lo spiccato orientamento al settore Ricerca e Sviluppo. Secondo i dati InfoCamere, ben il 18,3% delle società di capitali che operano nelle attività di R&S sono startup innovative, una percentuale che appare significativa se pensiamo che esse rappresentano in realtà lo 0,25% del totale delle società di capitale italiane. La ragione di questo dato però è presto detta. Secondo quanto riportato nel decreto legge 18 ottobre 2012 n. 179, una startup innovativa per poter essere definita tale deve far sì che le spese in ricerca e sviluppo siano uguali o superiori al 15 per cento del maggiore valore fra costo e valore totale della produzione.

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