Laureati: quanti stage e quanti posti di lavoro?

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La corsa al tirocinio si fa sempre più veloce settimana dopo settimana, ma solo per una piccola parte questa opportunità significherà davvero entrare nel mondo del lavoro. Recentemente il Governo ha reso noti gli ultimi dati relativi a Garanzia Giovani, aggiornati al 1 giugno 2016: 918.360 ragazzi dai 15 ai 29 registrati, di cui 703.449 presi in carico da parte dei Servizi per l’Impiego. Alla metà di questi, precisamente a 339.597 giovani, è stata proposta almeno una qualche posizione occupazionale, fra tirocini, stage, servizio civile, e formazione gratuita.

Un boom anche per il progetto “Crescere in Digitale” a cui sono iscritti 62.558 e 2.441 imprese, che si sono rese disponibili ad accogliere 3.255 tirocinanti (il 5% degli iscritti) grazie al Super Bonus Occupazionale che riconosce fino a 12.000 Euro alle aziende ospitanti. Leassunzioni previste dalle aziende però, cioè tutto ciò che non è stage, voucher e tirocini, sono molte di meno.

Dei 284 mila neolaureati stimati nel 2015, circa 138 mila saranno quelli che proveranno a immettersi nel mondo del lavoro, e uno su 3 provenendo da una laurea in ambito umanistico. La buona notizia è che più della metà dei laureati (neolaureati o meno) è previsto in entrata con un contratto a tempo indeterminato, quella cattiva che su le assunzioni previste dalle aziende nel 2015 sono solo 82.900 e solo la metà di queste, 43.700 sono le assunzioni aperte anche a neolaureati. Per i diplomati, come si diceva, le cose vanno un po’ meglio: con 178.500 neodiplomati che si sono immessi nel mercato del lavoro nel 2015 per circa 130 mila assunzioni previste per neodiplomati.

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L’economia dei Millennials

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Sono ragazzi e ragazze che nel 2025 costituiranno il 75% della forza lavoro del pianeta. Quelli che spesso vengono etichettati come dei narcisisti, pigri e indecisi, che vivono ancora con i genitori. La loro cultura digitale minaccia di fare perdere il 35% dei ricavi all’intero sistema bancario mondiale da qui al 2020. Quando impugnano lo smartphone o anche se soltanto usano uno spazzolino da denti, consapevoli o meno, detteranno le regole dell’economia nei prossimi decenni. Sono i «superpoteri» dei millennials, i ragazzi nati tra il 1980 e il 2000. Dopo una recessione storica, questa è la loro “new economy”.

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Lavoro, i giovani italiani lo cercano troppo tardi

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Fanno sempre notizia le storie dei giovani talenti che bruciano le tappe, da ultima la vicenda di Adele Brunitto, la ragazza nata ad Aversa ma naturalizzata negli Stati Uniti, che a soli 21 anni ha conseguito la laurea magistrale in Management alla Luiss di Roma. Una storia ricca di speranze, in linea con l’idea di unmercato del lavoro molto competitivo dove il fattore età è primario.

Il punto è che in Italia l’età media alla laurea magistrale non è 21 anni, e nemmeno 24, che sarebbe l’età di un laureato “in corso”, ma27,7 anni. E non stupisce più di tanto, dal momento che l’età media alla laurea triennale è 25 anni, quando uno studente in corso dovrebbe laurearsi a 22.

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Le start up innovative crescono secondo Istat e Infocamere, ma la presenza femminile è ancora bassa

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Le recenti statistiche Istat sono chiare su questo punto: nonostante qualche nota positiva, per le imprese italiane la crisi non è finita, tanto che a marzo 2015 la disoccupazione è aumentata dello 0,3% rispetto ad aprile dell’anno prima. Tuttavia, se da un lato le aziende italiane stentano a risollevarsi, la maggior parte di chi investe in startup innovative, punta proprio sul settore dei servizi all’industria. Ricerca e sviluppo in testa. I numeri del fenomeno sono chiaramente illustrati nel blog di StartUpItalia.

Ma ci sono altri dati che si possono estrapolare in questa situazione. Intanto sono 3711 le startup innovative nei primi 3 mesi del 2015, il 16,7% in più rispetto a dicembre 2014, e la fetta più grossa, circa 3 nuove imprese su 4, ha scelto di occuparsi appunto di servizi per le imprese: produzione di software e consulenza, attività e servizi per la formazione, e ricerca e sviluppo.
Un bell’incremento questo degli ultimi mesi che ha coinvolto 192.047.966 € di capitale sociale, circa 52 mila euro a impresa, il 25% in più rispetto a dicembre 2014. Nonostante questo però le startup innovative rappresentano una fetta sempre minuscola dell’universo imprenditoriale italiano: lo 0,25% delle società di capitale italiane, che toccano oggi quasi quota 1,5 milioni.
La maggiore densità di startup innovative sul totale delle imprese di capitale si concentra nelle province del centro-nord, Trento, Trieste e Ancona in testa.

Sono gli ultimi dati forniti da InfoCamere, aggiornati al 6 aprile scorso. Un dato che emerge prepotentemente sugli altri è lo spiccato orientamento al settore Ricerca e Sviluppo. Secondo i dati InfoCamere, ben il 18,3% delle società di capitali che operano nelle attività di R&S sono startup innovative, una percentuale che appare significativa se pensiamo che esse rappresentano in realtà lo 0,25% del totale delle società di capitale italiane. La ragione di questo dato però è presto detta. Secondo quanto riportato nel decreto legge 18 ottobre 2012 n. 179, una startup innovativa per poter essere definita tale deve far sì che le spese in ricerca e sviluppo siano uguali o superiori al 15 per cento del maggiore valore fra costo e valore totale della produzione.

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