Didattica a distanza: come l’hanno vissuta i ragazzi. Il sondaggio Almalaurea

Nel complesso i ragazzi si sono detti meno soddisfatti della Didattica a Distanza rispetto alla scuola tradizionale, ma a quanto pare chi afferma che per tutti i ragazzi è stata una tragedia, dovrebbe ricredersi, almeno rispetto agli studenti degli ultimi anni delle scuole superiori.

Uno studente su tre ritiene che sarebbe utile continuare a usare la didattica a distanza, insieme alle lezioni in aula, anche dopo l’emergenza del Covid-19, e solo 7 ragazzi su 10 osservano che il livello di preparazione raggiunta attraverso le lezioni a distanza sia inferiore a quella che avrebbero avuto andando a scuola. Una percentuale ben più consistente – la metà dei ragazzi- afferma che la DaD è efficace per il recupero o per il consolidamento di argomenti precedenti, mentre poco meno di un ragazzo su tre pensa che sia efficace per l’apprendimento di nuovi argomenti. Circa un ragazzo su sei pensa che migliori addirittura la comprensione degli argomenti trattati rispetto alla didattica tradizionale.

Lo racconta un sondaggio di AlmaDiploma in collaborazione con AlmaLaurea pubblicato in questi giorni che ha coinvolto studenti degli ultimi due anni delle scuole superiori da 246 istituti. Una precisazione metodologica: il rapporto in questione ha intervistato per la maggior parte liceali che vivono al centro nord. Fra i 73.2861 studenti interpellati (hanno risposto poi solo uno su tre), di quarta e quinta superiore, il 57% erano liceali, il 33% frequentava gli istituti tecnici e solo il 9,2% gli istituti professionali. Il 34% ha frequentato una scuola del Centro, il 29,7% una del Nord-Est, il 25,7% una scuola del Nord-Ovest, l’8,7% una del Sud e l’1,8% una delle Isole. Insomma, il sud qui è molto sottorappresentato, con un intervistato su dieci.

La Didattica a Distanza (DaD) è stata però vissuta in modo diverso, a seconda del tipo di scuola frequentata, ma il rapporto mostra una sorpresa interessante: i ragazzi dei professionali hanno avuto a disposizione meno strumenti tecnologici, hanno potuto seguire le lezioni più a singhiozzo, ma alla fine sono stati i più soddisfatti di questa esperienza e sono coloro che la vorrebbero proseguire maggiormente.

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I ragazzi del 1995, fra studio e lavoro

Giovani e lavoro: ma come stanno le cose davvero? AlmaLaurea ha recentemente pubblicato i risultati di un sondaggio che ha coinvolto un’ampio campione di ragazzi diplomati nel 2014 – cioè nati nel 1995 o negli anni appena precedenti – per capire oggi, a 22 anni, com’è la loro vita, fra chi studia e chi (anche) lavora.

Anzitutto un dato: a tre anni dal diploma lavora circa un giovane su 3 (il 27%). Un altro 18% studia e lavora e il 44% di loro studia solamente. Complessivamente il 68% delle ragazze si è iscritto all’università, contro il 57% dei maschi. Nel dettaglio nel 2017 lavora il 60% dei diplomati in un istituto professionale, il 42% di chi ha frequentato un istituto tecnico e il 7,6% dei liceali.

Coniuga invece università e lavoro (tendenzialmente piccoli lavoretti) un liceale su 4 (il 24%), un diplomato tecnico su 6 (il 13%) e un diplomato professionale su 10 (il 9,2%).

Nel complesso dei diplomati nel 2014, la fetta più grossa dei contratti – 1 su 3 – è “non standard”, ovvero contratti a chiamata e qualsiasi contratto a tempo determinato, in ugual misura fra maschi e femmine. Il 15% di loro ha contratti “formativi”, mentre un altro 15% lavora senza nessun contratto, e qui il gap di genere si fa sentire: non ha contratto il 23% delle ragazze che lavora contro l’11% dei maschi. E va precisato che a tre anni da diploma le occupate sono di più rispetto agli occupati: 1300 femmine e 1255 maschi fra chi ha risposto al sondaggio. Complessivamente sono di più i ragazzi che lavorano soltanto (32% contro il 22% delle ragazze), ma sono di più le ragazze che studiano e lavorano rispetto ai maschietti (23% delle ragazze contro 13% dei ragazzi).

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Adolescenti stranieri a scuola: in Italia sono pochi e poco integrati

Le migrazioni stanno cambiando profondamente la composizione delle classi: oggi un 15 enne su 4 in Europa è straniero o è figlio di genitori non nativi. Tuttavia, molto c’è ancora da fare per appianare il gap fra nativi e immigrati, sia in termini di risultati ottenuti a scuola che di motivazione, ansia di non farcela e soddisfazione complessiva rispetto alla propria vita.

In Italia, nonostante abbiamo i tassi di adolescenti stranieri più bassi rispetto alla maggior parte dei paesi europei, siamo agli ultimi posti per quanto riguarda la loro resilienza, cioè il sentirsi integrati e con le stesse possibilità di riuscire nel proprio percorso rispetto ai nativi.

Lo evidenzia un rapporto di OCSE pubblicato il 19 marzo, che fa il punto su come stanno nel 2015 i 15 enni immigrati, di prima e seconda generazione, e i figli di almeno una persona non nativa, dal punto di vista dell’integrazione scolastica. I dati provengono dalle note rilevazioni PISA (Programme for International Student Assessment), che periodicamente esaminano i 15 enni in ogni paese dell’area OCSE per alfabetizzazione letteraria (capacità di comprendere quanto letto), matematica e scientifica.

Risultato? Nel complesso il gap con i nativi si sente, specie come è comprensibile fra gli studenti immigrati di prima generazione. In media, nei paesi dell’OCSE, ben il 51% degli studenti immigrati di prima generazione non è riuscito a raggiungere le conoscenza scolastiche di base previste dai programmi per lettura, matematica e scienze, contro il 28% dei nativi. Differenze simili si osservano anche per la maggior parte degli altri indicatori: il 41% degli studenti immigrati di prima generazione ha riferito di un debole senso di appartenenza, rispetto al 33% dei nativi.

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La scuola superiore? E’ ancora un fatto di classe (sociale)

Reblogged from L’Espresso

Il fatto che 7 diplomati su 10 abbiano intenzione di iscriversi all’università non è sufficiente per poter dire di essere sempre più vicini a rendere davvero equo l’accesso all’università. Il gradiente sociale che emerge se si considera la classe socio-economica di appartenenza dei giovani diplomati a seconda del tipo di diploma è infatti drammaticamente evidente. Anche se frequentare un liceo pubblico costa allo stesso modo di un istituto tecnico o di uno professionale, un terzo di chi si diploma al liceo proviene da famiglie di classe sociale considerata “elevata”, mentre solo il 17 per cento da famiglie che lavorano nell’esecutivo.

Lo mostrano i dati raccolti da AlmaDiploma , la “sorella” di Almalaurea che ogni anno cerca di fare il punto sulle condizioni dei ragazzi prima che essi arrivino all’università. Per capire meglio di cosa stiamo parlando vale la pensa sciogliere un po’ questa nomenclatura. Secondo le categorie di AlmaDiploma la classe sociale considerata “elevata” è rappresentata da liberi professionisti (medici, avvocati), dirigenti, docenti universitari e imprenditori con almeno 15 dipendenti.

La classe “media impiegatizia” comprende impiegati con mansioni di coordinamento, direttivi o quadri intermedi e insegnanti, mentre la “classe media autonoma” coadiuvanti familiari, soci di cooperative e imprenditori con meno di 15 dipendenti. Infine, la classe del lavoro esecutivo è composta da operai, da qualsiasi forma di lavoratore subalterno e assimilato e da tutti coloro che sono considerati “impiegati esecutivi”, con contratti di varie forme e colore.

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