Non mi intendo per nulla di cinema, per cui tante osservazioni su specifici registi non le ho colte, ma mi sono comunque goduta lo sguardo acuto ma pacato di Goffredo Fofi in questo breve libro, le sue argute riflessioni intorno al concetto di pensiero anarchico e autarchico sul compito dell’arte.
Il pensiero (tutto sommato militante) di Fofi è chiaro: l’arte non può che essere anarchica, nel senso di espressione di una “disperazione creativa”. Solo questo impegno dell’artista nell’esprimere una disperazione creativa può far sì che l’arte riesca ad assolvere al proprio compito, che è alla fine fine quello di “contrastare il presente e le sue mistificazioni difendendo il vero e il giusto e il bello”. Per questo abbiamo bisogno di più arte, un’arte che non sia solo comunicazione.
Con questi occhiali Fofi esamina gli esiti del cinema del secolo scorso, continente per continente.
Alcuni passaggi interessanti:
«Mai fidarsi troppo dei dizionari e delle loro perentorie definizioni di questo e di quello. […] E di dizionario in dizionario i lemmi si consolidano, si fissano, le definizioni si fanno luogo comune, opinione corrente, giudizio inappellabile. […] per definizione i dizionari definiscono e per un bel lasso di tempo la loro sarà vox populi, veridica spiegazione, sintesi piena, scienza».
«La definizione di anarchia che mi pare più consona ai nostri tempi è quella che ci dette un pomeriggio di qualche anno fa, in un incontro con pochi giovani che sapevano chi era e ammiravano i suoi scritti, Colin Ward, il mite e saldo Colin […] Gli chiedemmo: cos’è in primo luogo e in definitiva, per te e proprio per te l’anarchia? La sua risposta ci sconcertò e mi entusiasmò, e ancora mi entusiasma: una forma di disperazione creativa».
«C’è un’arte astuta e una ingenua, una finta dominata soltanto dall’ambizione dell’artista e dalle febbri del mercato, e una vera, che si inquieta e si interroga sullo stare al mondo, sul senso da cercare e da dare al nostro passaggio».
«In un mondo in cui la scienza è ricattata dal denaro e ne è a servizio, la politica è serva e schiava dell’economia, e ancora di più lo sono l’urbanistica e l’educazione. Di arte abbiamo bisogno, più che mai, per contrastare il presente e le sue mistificazioni difendendo il vero e il giusto e il bello».
«Che cos’è l’arte di Tolstoj, con la sua idea di un’arte che non può e non deve essere che arte popolare, espressa dal basso e con lo sguardo rivolto all’alto».
«La Woolf rispose dicendo che tra cultura alta e bassa c’era stato sempre uno scambio, da Shakespeare a Dante, da Rabelais a Boccaccio, da Dickens a Tolstoj, e che il nemico di entrambe era la cultura media, la cultura piccolo borghese che non sa più considerare l’elevatezza straordinaria che può raggiungere l’arte, l’arte come ricerca di verticalità, l’arte come possibilità di cercare o dare un senso alla propria esistenza, né sa tener conto del basso, lontana dal basso per i suoi pregiudizi classisti».
«Nel mondo in cui viviamo l’oppio dei popoli non è più la religione, l’oppio dei popoli è la cultura».