Enzo Bianchi è una delle voci a mio modesto avviso più importanti da seguire nel panorama italiano, anche per chi non crede. C’è molto materiale online per fortuna, interventi suoi, pensieri condivisi, e anche seguirlo su twitter è un piacere quotidiano.
Ho letto due suoi piccoli ma intensi libri in questi giorni, editi entrambi da Einaudi nella deliziosa collana che è “Vele”. Il primo è “Per un’etica condivisa” (2009), il secondo “L’altro siamo noi” (2010). Si parla molto di accoglienza, di che cosa significa essere stranieri, della nostra responsabilità etica e sociale, al di là della religione. Temi di strettissima attualità, più ora di quando questi testi hanno visto la luce.
Condivido qui alcune frasi che mi sono segnata.
Da “Per un’etica condivisa”:
“L’etica, oggi meno che mai, non può obbedire alla logica dell’utilitarismo secondo la quale è morale ciò che può servire, essere utile in un modo o nell’altro, e l’operare imano p buono o cattivo a seconda del prevalere dei vantaggi o degli svantaggi, dei guadagni o dei costi. Analogamente l’etica non può obbedire soltanto alla logica di una maggioranza puramente numerica. È vero infatti che questa maggioranza dovrebbe crearsi attraverso la discussione, il confronto, il compromesso, il consenso di tutte le componenti della società.
Quando un appello particolarmente accorato su leva da persone cui è riconosciuta un’autorevolezza di respiro universale, due tentazioni contrapposte si presentano ai destinatari immediati del messaggio e, più in generale, a chiunque lo ascolti. Da un lato la reazione anestetica di chi si chiama fuori con la convinzione o più facilmente con l’opportunismo, di non essere tra i destinatari dell’appello: la questione sollevata può essere davvero drammatica, ma io non c’entro…si riferiva ad altri e poi cosa potrei mai fare? D’altro lato la tentazione di ridurre la portata universale del messaggio a uno strumento da usare contro gli avversari nel proprio angusto orticello, cedendo a un meschino provincialismo: è il classico tirare per la giacca chi gode di un’autorità morale o istituzionale.
Forse sta diventando tragicamente vera anche per noi la situazione icasticamente descritta dal famoso detto della sapienza indiana che sembra modellato sugli apoftegmi dei monaci del deserto: due lupo stanno lottando dentro ciascuno di noi e nella nostra società contemporanea, uno pieno di rabbia e rancore, di risentimento nei confronti del diverso, l’altro animato da compassione e amore intelligente. Anche questa volta preverrà il lupo che avremo saputo nutrire meglio nel nostro quotidiano.
È miope la visione di chi crede di risolvere i problemi dandogli il nome di reato.
Dai loro frutti li riconoscerete.
Sì, occorre prendersi cura non solo del contenuto del messaggio, ma della sua corretta ricezione.
Dio è un’idea politica, come ricorda il grande teologo Johann Baptist Metz.
Cogliere l’altro nell’interezza e nella complessità della sua persona, senza ridurlo ai problemi che la sua presenza comporta.
Da “L’altro siamo noi”:
Una prima tipologia di rapporto è quella dell’assimilazione, in cui l’incontro con lo straniero tende ad assimilarlo alla comunità che lo accoglie: il nuovo arrivato è sollecitato a comportarsi in tutto come i cittadini della società ospitante. Quando va al di là del doveroso rispetto per la legge “uguale per tutti” e investe anche comportamenti e abitudini lecite anche se non usuali, il rapporto retto dall’idea dell’assimilazione è in realtà espressione di rifiuto e di esclusione dell’altro perché postula un incontro che nega la differenza. Vedo lo straniero così differente da me da non poter condividere con lui il mio spazio vitale, salvo che lui diventi simile a me, assuma il mio modo di vivere, la mia cultura, la mia storia e mantenga per sé solo minime differenze marginali. Un’accoglienza che miri all’assimilazione si nutre di una logica escludente, non è accoglienza autentica dell’alterità irriducibile del diverso.
Un’altra modalità di incontro con lo straniero è quella dell’inserzione, modalità che risponde alla volontà o al desiderio di vivere gli uni accanto agli altri conservando le rispettive differenze. Così l’inserimento dello straniero nel tessuto sociale esistente avviene senza confiscarne l’identità e l’autonomia: ognuno mantiene la propria identità e la inserisce in un tessuto comune die però le differenze sono giustapposte. Si vive in una vicinanza fisica che tuttavia non consente la conoscenza reciproca: l’altro resta uno sconosciuto, l’indifferenza regna e consente una coesistenza relativamente pacifica della società. Il rapporto con l’altro è vissuto nell’indifferenza di fondo, in una logica di accettazione di una minoranza da parte di una maggioranza fin tanto che quest’ultima non si sente minacciata. Questo tipo di rapporto è forse il più attestato oggi in Italia.