È il carbone il nostro nemico?

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Secondo William McDonough, noto designer americano, la risposta è evidentemente negativa. Usiamo termini fuorivanti per parlare dei cambiamenti climatici, che finiscono per far passare l’idea che il vero colpevole degli stravolgimenti climatici sia il carbonio, quando invece il problema è l’uso che ne facciamo, una progettazione fallace sotto molti punti di vista nella gestione del ciclo del carbonio. Ne parla su Nature in un interessante e provocante articolo  uscito i giorni scorsi dal titolo, appunto, “Carbon is not the enemy”, il carbone non è il nemico.
Il punto di vista di McDonough è quantomeno interessante. ‘Basso contenuto di carbonio’, ‘zero emissioni’, ‘decarbonizzazione’, ‘carbon neutral’, anche ‘carbon war’ sono termini fuorivianti, che non colgono il fulcro del discorso.

Non è il carbonio inteso come elemento chimico, il nostro nemico. Il cambiamento climatico è il risultato di un utilizzo errato del carbonio come fonte di energia. Bruciare il carbone non è l’unico modo per usarlo come fonte di energia. La presenza di gas ad effetto serra di origine antropica nell’ atmosfera collocano il carbonio nel posto sbagliato, alla dose sbagliata e per una durata stemporale bagliata. Siamo noi che abbiamo reso il carbonio qualcosa di tossico per l’uomo e di non sostenibile a lungo termine, come il piombo nella nostra acqua potabile o i nitrati nei nostri fiumi” chiosa McDonough. “Al posto giusto, il carbonio è una risorsa e uno strumento.” Pertanto, conclude, la sfida deve essere quella di individuare nuovi modi per utilizzare il carbonio in modo sicuro, produttivo e redditizio. Anzi ci può aiutare ad eliminare gli aspetti negativi sull’ambiente dovuti alle emissioni di CO2 in atmosfera

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Rapporto GreenItaly 2016: in aumento le imprese “verdi”

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Il quadro che emerge dal rapporto GreenItaly 2016, redatto da Unioncamere e dalla Fondazione Symbola, giunto oramai alla settima edizione, è complessivamente positivo. Un’impresa su 4 dal 2010 al 2015 (il 26% del totale) ha investito in tecnologie green (o intende farlo nel 2016) per ridurre l’impatto ambientale, per il risparmio energetico e per una riduzione di CO2. Un terzo dell’industria manifatturiera (con particolare impeto – si legge – nell’industria petrolchimica e della gomma e plastica – e un quarto delle imprese di costruzioni). 134 mila imprese (il 9,3% del totale) dichiara di voler investire nel 2016, anche se a ben vedere si tratta di un trend in crescita dal 2013, ma in calo rispetto al 2011.

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Quanto sono “green” i Millennials?

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Secondo un rapporto di Pew research, ai Millennials, o generazione Y – i ragazzi nati dal 1980 al 2000 – la parola “ambientalisti” non piace, anche se si ritengono comunque molto impegnati sul fronte della tutela del pianeta. Preferiscono la bici all’auto, amano mangiare bio e a km zero. Se si apre un sito web di crowdfunding qualsiasi per venire inondati da nuove startup green create da giovanissimi.

Che i giovani adulti siano più “green” dei propri genitori, i Baby Boomers – quelli cioè nati fra il 1946 e il 1965 circa – è diventato quasi un modo di dire. A suon di sharing economy, il messaggio che è passato un po’ ovunque negli ultimi anni è che questa è la generazione più verde della storia. Ma è proprio così? Se andiamo a scartabellare fra i principali studi sull’argomento ci accorgiamo che la risposta come spesso accade sta nel mezzo, forse perché essere “green” oggi è una questione complessa, che coinvolge sì la sfera dei trasporti, cioè scegliere i mezzi pubblici piuttosto che l’auto, ma anche l’alimentazione, la scelta di acquistare questo o quel marchio, il riciclaggio e il riuso, le abitudini e gli stili di vita legati ai consumi energetici.

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Mettete semi nei vostri droni. E piantate 1 miliardo di alberi all’anno

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La startup si chiama BioCarbon Engineering e il suo CEO è Lauren Fletcher, ex ingegnere della NASA. L’idea? Usare i droni per piantare 1 miliardo di alberi ogni anno per un totale di 500mila ettari nel giro di 5-7 anni, per contrastare la piaga della deforestazione, in primis in Africa e nella foresta Amazzonica. Un tentativo non solo per piantare alberi, ma soprattutto per difendere la biodiversità.

Non a caso il motto dell’azienda è “We are going to counter industrial scale deforestation using industrial scale reforestation”, contrastare la deforestazionesu scala industriale puntando sulla riforestazione su scala industriale. Una riforestazione “di precisione” che permetterà un aumento vertiginoso del numero di alberi piantati, a un costo bassissimo, dato che le risorse umane impiegate sono pochissime.

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