Il lato oscuro degli iscritti ai sindacati

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“Facciamo sentire la nostra voce, schierandoci dalla parte del lavoro. Facciamolo insieme” esortava Susanna Camusso allavigilia della manifestazione nazionale del 25 ottobre, e ridendo e scherzando, secondo i conti degli organizzatori a schierarsi dalla parte del lavoro a Piazza San Giovanni sono state 1 milione di persone.

La CGIL Nazionale infatti ne conta 42.400, la CISL Nazionale 8.710, la UIL Nazionale 2.882 e l’UGL Nazionale 2.127. No, non sono i numeri dei tesserati, ma quello dei follower su twitter dei profili nazionali dei principali sindacati italiani, nel momento in cui stiamo scrivendo. Principali perché sono gli unici ad avere la rappresentatività, ovvero il potere di firmare accordi vincolanti per tutti i lavoratori di un determinato settore. Numeri ben precisi quelli di twitter, ma viene da chiedersi a chi si rivolgano davvero Susanna Camusso & Co. dato che, come già abbiamo anticipato nella puntata precedente, i numeri dei sindacati non sono e non possono essere chiari.

Ma autunni caldi a parte, quanti sono davvero gli iscritti ai sindacati in Italia, 100 mila, 1 milione? Pare che prima ancora che la risposta a essere sbagliata sia la domanda. Ad oggi in Italia i sindacati stessi non sanno con precisione quanti sono i loro iscritti. O meglio, lo sanno solo per quanto riguarda il pubblico, ma non per il privato.

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Manifestazione del 25 ottobre: quanto contano davvero i sindacati?

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Dopodomani Susanna Camusso vuole portare in Piazza San Giovanni contro il Jobs Act un milione di lavoratori.

Una bella prova di forza, di cui i sindacati, Cgil in testa, hanno un gran bisogno. Sì perché, a conti fatti e al di là della battute del premier, se Dio e Marx sono morti, nemmeno il sindacato non si sente troppo bene.

In questi giorni da più parti viene sollevata la questione dell’obsolescenza dell’istituzione sindacale, una forma di tutela su cui gli italiani parrebbero riporre sempre meno fiducia. C’è chi afferma, basandosi su dati evidentemente non ancora definitivi relativi al 2014, che gli italiani si sentirebbero sempre più lontani dai sindacati, altri che i tesseramenti sarebbero drasticamente crollati negli ultimi anni. E il recente incontro del 7 ottobre scorsofra il Premier Renzi e i vertici di CGIL, CISL, UIL e UGL non pare aver chiarito molto la situazione. E la domanda rimane: quanta Italia è rappresentata davvero dai sindacati? E soprattutto, ha senso porsi la domanda sulla legittimità dell’istituzione sindacale dal punto di vista del numero degli iscritti? La risposta da più parti, specie tra chi nei sindacati ci lavora, è dubbia.

Tuttavia, se vogliamo attenerci ai numeri ufficiali resi noti dai Big Threecioè CGIL, CISL e UIL, in realtà in certi casi i numeri rivelano addirittura una crescita rispetto al 2012. 5.686.210 italiani iscritti alla CGIL, 4.372.280 alla CISL e 2.216.443 alla UILnell’ultimo anno di sui abbiamo i dati completi, il 2013. In altre parole l’equivalente di tutti gli abitanti del nord-est, Emilia-Romagna compresa.

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ILVA: risanamento un anno dopo

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È passato un anno dal decreto che affidava per tre anni al commissario Enrico Bondi, amministratore delegato della società, e al sub-commissario Edo Ronchi, già Ministro dell’Ambiente, le sorti del risanamento ambientale dell’Ilva di Taranto. Sebbene non siano ancora stati completati gli interventi più costosi, quello che è emerso il 19 giugno scorso a Roma alla presentazione il dossier Il risanamento ambientale dell’ILVA dopo un anno di commissariamento, organizzata dalla fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, sembra chiaro: “L’Ilva è in via di risanamento ambientale – si legge nel comunicato stampa – ma per continuare servono risorse certe e sufficienti e poteri reali di commissariamento ambientale”.
Che cosa dunque è stato fatto in questo primo anno? E soprattutto, quali sono queste risorse di cui c’è bisogno per completare i lavori e dove si può attingere? “La situazione dell’Ilva oggi è incredibilmente migliorata – spiega Ronchi – ma due sono ancora i punti su cui dobbiamo lavorare: primo, necessitiamo di una disponibilità finanziaria complessiva di 550 milioni di euro entro il 2014 e di ulteriori 250 milioni entro la fine del 2015; secondo, servono poteri reali di decisione e di intervento di un Commissario per l’attuazione del DPCM”. Partiamo dalle buone notizie.
Come è emerso dalla Relazione sulla qualità dell’aria a Taranto nel 2013, resa nota dall’Arpa Puglia, tutte le stazioni della città hanno registrato un calo significativo delle medie annuali di Bap (Benzoapirene), una sostanza considerata cancerogena, portandole di molto al di sotto del valore desiderato, soprattutto nella stazione di via Machiavelli, dove si registravano i valori più alti di Bap nell’aria dell’intera area. Il valore si è ridotto infatti di 10 volte, arrivando a 0,18 nanogrammi/m3, dove l’obiettivo di qualità di legge è 1 nanogrammi/m3. Stessa tendenza si rileva anche per quanto riguarda gli IPA (idrocarburi policiclici aromatici), che compongono il particolato atmosferico.

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