Malattie professionali: aumentano le denunce, ma calano quelle accettate

SALUTE – Il principale problema nel mappare la prevalenza di malattie professionali (dove c’è un rapporto causale, o concausale, diretto tra il rischio professionale e la malattia) rispetto ad esempio agli infortuni, è che in molti casi i lavoratori non denunciano il proprio disturbo a INAIL. Tuttavia, anche solo analizzando l’ultimo rapporto annuale di INAIL al 31 dicembre 2016, si notano alcuni aspetti interessanti fra chi lo ha fatto.

Primo, che nel 2016 ci sono state 60.260 denunce di malattia professionale, e una su tre in media è stata accettata. Una percentuale che scende alla metà fra chi ha lavorato per conto dello Stato: solo una denuncia su sei è stata effettivamente accettata da INAIL come dovuta al lavoro svolto.
In generale, dal 2012 a questa parte le denunce sono aumentate sensibilmente, mentre è andata calando la percentuale di quelle accettate. Si è passato dalle 46 286 denunce del 2012 alle oltre 60 000 del 2016, ma da una percentuale di accettazione del 44% a una del 32%. Nel 2016 si registra inoltre un 4% di denunce in istruttoria.

Accanto a questi 60 000 casi di malattia professionale, nel 2016 si sono avuti 543.494 infortuni, 100 000 in meno del 2012. Al 31 dicembre erano in essere 745 000 rendite, per inabilità permanente e ai superstiti (l’1,95% in meno rispetto al 2015), mentre le rendite per inabilità di nuova costituzione sono circa 17 000. Non dobbiamo stupirci, dal momento che fra le aziende controllate ben l’87,6% è risultato irregolare per qualche aspetto, un totale di 20 000 aziende: solo nel 2016 – dice INAIL – sono stati regolarizzati 52.783 lavoratori irregolari e oltre 5 000 in nero.

La maggior parte delle malattie professionali colpisce gli uomini (72%) e chi lavora nel settore dell’industria e servizi: quasi 47 000 persone alle quali si aggiungono 16 000 casi di malattia professionale in agricoltura e 733 fra chi ha lavorato per conto dello Stato.

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Movimento e attività fisica hanno effetti diretti sulla produttività al lavoro

Reblogged from Rivista Micron

L’Organizzazione Mondiale della Sanità consiglia almeno 30 minuti di attività fisica al giorno, anche solo una camminata, per far star bene l’organismo. La correlazione fra benessere e attività fisica è infatti ormai consolidata, anche se in termini di rilassamento complessivo non è vero che tutti i tipi di camminata sono uguali. Spesso siamo distratti da qualcuno accanto a noi o anche solo dai nostri pensieri che rimandano alle incombenze di lavoro o famiglia. L’idea di partenza di Annamaria Crespi, psicologa e coach, era proprio questa: mettere a punto una pratica di attività fisica che fosse non solo rilassante in maniera generica per la persona, ma addirittura benefica, permettendo di migliorare le proprie capacità cognitive, la memoria, il tono dell’umore. “Il cervello quando il corpo è in uno stato di movimento entra in uno stato di rilassamento definito “flusso”, direttamente correlato alla creatività e alle intuizioni” spiega Annamaria Crespi.
Così è nato il Metodo WAL (acronimo per Walk and Learn), ideato proprio dalla Crespi, prima come libro, e poi nel 2016 il metodo è stato scelto per essere al centro di una sperimentazione presso l’Ospedale Santa Maria della Misericordia di Perugia, i cui risultati verranno pubblicati a breve su di una rivista scientifica.
Il metodo WAL è molto semplice: si tratta di proporre alle persone (nel caso della sperimentazione sono state coinvolte 120 persone con più di 65 anni per due volte alla settimana per un periodo di sei mesi) sessioni di 30-40 minuti di camminata rilassata non veloce e a piedi scalzi, ascoltando delle storie, appositamente pensate per essere da una parte rilassanti ma anche intriganti, raccontate da lettori scelti per le loro voci rassicuranti e pacate.

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Non fare figli non è una colpa, essere sottopagate sì

Reblogged from L’Espresso

In molti si sono indignati nei giorni scorsi all’uscita di alcuni dati Istat che hanno sottolineato un nuovo record per l’anno appena trascorso: quasi la metà delle donne fra i 18 e i 49 anni, cioè in età potenzialmente fertile, non ha dei figli.

Non serve dirlo, il tono con il quale la notizia è stata diffusa sui media è stato ancora una volta di sgomento giudicante: troppe donne oggi preferiscono posticipare la maternità per poter consolidare la propria posizione lavorativa dopo anni di studio, di specializzazione. Un posticipare che “spesso si traduce in una rinuncia”, ha scritto qualche esperto. Senza considerare che i figli non li fanno solo le donne ma le coppie, nella maggior parte dei casi.

Ancora una volta il messaggio fra le righe è che queste donne sono colpevoli di non aver fatto tutto ciò che avrebbero potuto fare, invece di cogliere l’occasione per parlare di lavoro e del fatto che oggi una donna con meno di 30 anni che inizia un percorso professionale da professionista guadagna il 10% in meno di un suo collega uomo. Gap che fra i 30 e i 40 anni – che per la donna non sono solo gli anni cruciali per la maternità ma anche per l’avviamento di una professione – diventa del 27%. Oggi in Italia una professionista di 35 anni guadagna un terzo in meno rispetto al suo collega di scrivania. Fra i 40 e i 50 anni il gap è ancora del 23%.

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[§) La ballata del freelance

**Disclaimer** Siccome alcune persone hanno interpretato questa ballata come un grido d’aiuto (cosa che non è), ci tenevo a rassicurare il lettore che non è successo nulla, sto bene, il lavoro per fortuna non manca e neppure il mio reddito. Questo è un racconto che include molti aspetti che definirei ridicoli e paradossali della fiscalità italiana per chi comincia ala libera professione, alcuni li ho sperimentati io, altri no. E penso che anche se nessuno solitamente lo vuole ammettere per orgoglio, siamo un po’ tutti Marietta.
Prendetela dunque come una “ballata sulla fiscalità italiana della libera professione”, forse così si capisce meglio.. 🙂

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Dopo l’ultimo bicchier di vino
e posata la corona di alloro,
fra strette di mano e il CV nel taschino
Marietta si appresta a entrar nel mondo del lavoro.

“Freelance” – si dice – non suona mica male,
e poi dirlo in inglese è tutta un’altra storia..
Il mondo è grande, connesso e globale
e poi “il successo è cosa meritoria”.

Già si immagina Marietta, che non è benestante,
dopo qualche anno di duro lavoro,
dire ai suoi genitori tutta pimpante,
di potersi mantenere se non altro con un certo decoro.

Povera giovine, ancora non sa di sicuro
ciò che Piketty e colleghi vanno dicendo da anni:
nessuno mette via soldi solo col lavoro duro,
senza un patrimonio di famiglia che ripara i danni.

Così Marietta lavora ed è ben contenta
perché per fortuna sua e grazie allo Stato
con il regime dei minimi si accontenta
di non pagare un conto così salato.

Arriva infin il giorno di pagare
e Marietta, che tanto questo primo anno aveva lavorato,
fra tasse, Inps e acconti da saldare
su 10 mila, la metà li deve dare allo Stato.

La nostra eroina però non si dà per vinta
“È il primo anno, si sa che si paga per due
l’anno prossimo lavorerò con più grinta”,
Anche se le mani sono sempre “due”.

Dopo un paio d’anni di versamenti all’erario
(perché è partita da zero la nostra eroina)
Marietta può recarsi dal concessionario
per acquistare la sua prima macchinina.

Ma anche se è parca come le hanno insegnato,
e sceglie un’auto di poche pretese,
la giovane che solo due anni ha lavorato,
di certo non può far fronte a tutte le spese.

Anche perché si avvicina l’estate
e Marietta sa che deve risparmiare
perché di nuovo fra Inps, Irpef e acconti a palate,
deve fare attenzione a non sforare!

Così bisogna firmare un bel finanziamento,
(“e con la firma della mamma, che son più sereno”)
che fra tan e taeg è comunque un aumento
ma almeno il conto in banca rimane più pieno.

Ma più di tutto Marietta deve stare attenta
a non lavorare troppo, a non forzare la catena,
perché se supera quei fatidici TRENTA
si apre sotto di lei la terribile Geenna.

Sì perché se sei giovane e bravo nel tuo lavoro
e potresti ambire a fatturare un po’ di più,
per lo Stato diventi automaticamente pieno d’oro
e nell’inferno del Regime Ordinario rischi di cader giù.

In Italia se arrivi anche solo 35 mila
puoi dire addio in toto alle agevolazioni giovanili,
e fra tasse, previdenza e acconti in fila
al primo netto mensile sono solo esclamazioni scurrili.

Si pone dunque per Marietta un annoso problema:
rinuncio a un buon lavoro per non superare ‘sti trenta,
o provo ad ampliare del mio lavoro il sistema
sperando di non finire a mangiare pane e polenta?

Il primo anno, invero, non se ne fa niente,
fra la rata dell’auto e il risparmio per l’affitto.
Perché senza soldi per la caparra all’agente
nessuno ti affitta un appartamento solo perché ne hai diritto.

L’anno dopo, fuori casa e con l’auto per metà pagata,
Marietta fa il salto per ampliare il suo lavoro.
Nuovi clienti, fermento e speranza di una vita più agiata
pur senza pretesa di navigare nell’oro.

Ma a conti fatti a meno che più di 40 mila euro non fatturi
convien ancora rimanere sotto i trenta
che con le aliquote da pazzi di questi anni oscuri
Altrimenti il tuo netto ancora più basso diventa.

“Ma cosa fai, ti chiudi delle porte?”
Le dice la nonna cercando di donar conforto,
Non importa, sii fiduciosa che sei brava, e sii forte,
che mal che vada si trova il modo di darti supporto.

E così nonostante i maggiori proventi
ma senza patrimoni o rendite di sorta,
Marietta che a pagar si reca sull’attenti
quasi rimane davanti all’estratto conto morta.

Quei 15 mila che ha guadagnato in più rispetto ai trenta
son tassati come fossero sessanta!
Senza capire che proprio in quell’intervallo da sessanta a trenta
Sta la distanza fra ricchezza e povertà, che è tanta.

Considerato tutto, anche gli acconti
dei soldi anche ancora non sa se guadagnerà,
Marietta guarda i suoi conti in banca pronti
in un baleno a ridursi alla metà.

Pensa dunque: “allora basta, torno al regime forfettario
guadagno meno, ma in proporzione ho meno tasse,
almeno non regalo così tanto all’erario”.
E sperava la sventurata che il suo sogno di avverasse.

Ma puntuale come un orologio arriva il NO dello Stato:
Se più di 30 mila hai fatturato l’anno precedente
non hai diritto a passare quest’anno al regime agevolato
Insomma Marietta, non se ne fa niente.

“Un anno devi stare nel regime ordinario,
ma senza sforare i 30 pur pagando tutte le tasse e gli acconti,
per poterti guadagnare l’anno dopo il diritto al forfettario
e sperare finalmente in un netto che faccia quadrare i conti.”

30 mila euro di fatturato nel regime ordinario
son meno di 1500 euro al mese (e da non sforare!)
che fra affitto, auto e il paniere vario,
di sicuro non significa un futuro in cui sperare.

Insomma, Marietta l’ha capita infine la morale:
se paghi soldi che non hai mai fatturato
e per un anno lavori meno pagando tante tasse uguale,
finalmente il diritto a esser chiamato “povero” te lo sei di nuovo guadagnato.

@CristinaDaRold

Pic credits: Bansky, Follow your dream, cancelled.