Horizon 2020: the Turkish challenge

Reblogged from Science on the Net

Political relations between Europe and Turkey have never been easy and even in scientific research, often over the parts, the inclusion of the Turkish Government into international dynamics represented a special case. One example of this particularity is the fact that the final agreement that allows Turkey to be among the beneficiaries of Horizon 2020 was only signed in June. “Turkey is a much valued partner. Its dynamic business environment is a perfect test bed for the development of innovative products and services – making cooperation a win-win for researchers and enterprises on both sides,” wrote the UE press release.

But what is exactly the Turkey’s potential within a project like Horizon 2020?  Actually, Turkey has been associated to EU research framework programmes since 2003 and, under the last European programme between 2007 and 2013, more than one thousand participations from Turkish public and private institutions in some 950 projects received almost €200 million in EU funding.

However, its current level of investment in R&D is less than 1 percent of GDP, below the EU average that is of 2 percent and the target it has set itself for 2023.

The element that attracted the European attention were probably the Turkish small and medium-sized enterprises. In an economic landscape as difficult as that of the last few years, they have been one of the hangers in the country, as well as in the whole European community, which for years invested its capital in Turkey.

Therefore, it seems that, once again, the field on which the game is played is the economic one and it is not a coincidence that today there are those who talk about the BRICS + T, thus including Turkey in the group of economically emerging countries, along with Brazil, Russia, India, China and South Africa.

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Missione Africa: l’economia italiana che guarda sotto il Sahara

Reblogged from datajournalism.it

Autunno 2014. Nell’agenda italiana del Ministero degli Esteri è fissato un appuntamento importante: la prima conferenza Italia-Africa. Obiettivo, rafforzare le relazioni bilaterali con i paesi subsahariani per rendere più internazionale il nostro paese in vista di Expo 2015, e soprattutto della candidatura dell’Italia per il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nel 2017-2018. E pochi giorni fa, a inizio aprile, si è tenuto il quarto Africa-UE summit sui temi della pace, sicurezza e interessi condivisi, con priorità alle politiche che favoriscono una crescita sostenibile ed inclusiva.
Il nostro paese intende infatti rafforzare la sua presenza, oggi poco significativa, nei paesi subsahariani. Secondo un reportstilato dall’Istituto per gli studi di politica internazionale – ISPI per la Farnesina, le ragioni economiche di un crescente interesse del nostro paese verso l’Africa sono due: la possibilità per il continente africano di contribuire con la sua economia in crescita al rilancio anche dell’economia italiana, nonché l’opportunità di proporre l’Italia come partner di paesi fortemente in via di sviluppo, in modo da “indirizzarne i processi di sviluppo e di governance a livello globale […] nell’identificazione e implementazione di strategie di sviluppo sostenibili”.

Economie in crescita

I paesi dell’Africa subsahariana rappresentano un agglomerato di situazioni molto diverse fra loro e spesso non è semplice tracciare denominatori comuni, eppure alcuni di essi stanno attraversando oggi una fase di straordinaria espansione economica. Se nel periodo che va dal 1990 al 1999 il tasso di crescita medio annuo di questi paesi si aggirava intorno al 2,1%, nel decennio successivo si è arrivati a toccare il 4,7%. Come sottolineato dagli esperti nel report, l’aumento dei prezzi delle risorse naturali (come gas naturale e petrolio) ha senza dubbio svolto un ruolo importante – sebbene non vada comunque inteso come causa necessaria – nel trainare e sostenere questo tipo di sviluppo. Un esempio significativo è proprio il greggio, il cui prezzo al barile è passato dai 25$ del 1999 ai 90$ del 2012.

Dall’inizio del XXI secolo a oggi l’economia a sud del Sahara è quadruplicata in termini nominali (cioè senza considerare inflazione e potere d’acquisto), passando da 342 miliardi di dollari a 1.306 miliardi. Due paesi su 49 rappresentano – da soli – metà dell’economia subsahariana: il Sudafrica, con un PIL di 384 miliardi di dollari, e la Nigeria con uno di 263 miliardi. Un altro modo di guardare al problema è tramite i dati OECD che classificano i paesi sulla base di una combinazione del livello di reddito pro capite (il potenziale di crescita) e di performance economica (la crescita effettiva). Sebbene la situazione negli ultimi 10 anni sia molto mutata e il numero dei paesi considerati poveri sia passato da 36 del 1999 a 15 nel 2009, l’Africa subsahariana è e rimane un continente “a quattro velocità”, dove continuano a convivere paesi poveri e paesi “convergenti”.

A non essere cambiata di molto negli ultimi 10 anni è invece la composizione del Pil dei paesi subsahariani, dove a farla da padrone è ancora largamente il settore dei servizi, che rappresenta il 50% del totale.

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