L’economia dei Millennials

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Sono ragazzi e ragazze che nel 2025 costituiranno il 75% della forza lavoro del pianeta. Quelli che spesso vengono etichettati come dei narcisisti, pigri e indecisi, che vivono ancora con i genitori. La loro cultura digitale minaccia di fare perdere il 35% dei ricavi all’intero sistema bancario mondiale da qui al 2020. Quando impugnano lo smartphone o anche se soltanto usano uno spazzolino da denti, consapevoli o meno, detteranno le regole dell’economia nei prossimi decenni. Sono i «superpoteri» dei millennials, i ragazzi nati tra il 1980 e il 2000. Dopo una recessione storica, questa è la loro “new economy”.

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Lavoro, i giovani italiani lo cercano troppo tardi

Reblogged from WIRED ITALIA

Fanno sempre notizia le storie dei giovani talenti che bruciano le tappe, da ultima la vicenda di Adele Brunitto, la ragazza nata ad Aversa ma naturalizzata negli Stati Uniti, che a soli 21 anni ha conseguito la laurea magistrale in Management alla Luiss di Roma. Una storia ricca di speranze, in linea con l’idea di unmercato del lavoro molto competitivo dove il fattore età è primario.

Il punto è che in Italia l’età media alla laurea magistrale non è 21 anni, e nemmeno 24, che sarebbe l’età di un laureato “in corso”, ma27,7 anni. E non stupisce più di tanto, dal momento che l’età media alla laurea triennale è 25 anni, quando uno studente in corso dovrebbe laurearsi a 22.

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Lavoratori over 50 in crescita, ma troppo poche le donne

Reblogged from WIRED ITALIA

La buona notizia è che in questi primi mesi dell’anno pare che la situazione occupazionale degli over 50 stia lentamente migliorando. Quella meno buona è che questo piccolo sprint è solo l’inizio di un processo non ancora compiuto, e per le donne in particolare questa ripresa è più lenta a farsi sentire.

Lo raccontano i dati del Ministero del Lavoro: dal 2012 al primo trimestre 2015 sono aumentati notevolmente i nuovi rapporti di lavoro fra chi ha più di 55 anni: 135mila per gli uomini e 113 mila per le donne, per un totale di 182 mila lavoratori coinvolti. All’inizio del 2013, dopo l’entrata in vigore della Legge Fornero, non si superavano i 160 mila lavoratori.

I dati però possono trarre in inganno. In Italia dal 2007 a oggi fra gli over 50 sono aumentate sia l’occupazione che la disoccupazione. Anzi, a crescere maggiormente è stata proprio l’occupazione, anche se fra alti e bassi in questi sette anni di crisi il numero di lavoratori non è mutato di molto. Una serie di apparenti paradossi degni di Lewis Carroll.
Eppure è così: il dato interessante non è il tasso di occupazionetout court, cresciuto negli ultimi anni anche grazie all’aumento dell’età pensionabile, dal momento che ben un lavoratore su tre oggi fra i 15 e i 64 anni ha più di 50 anni.

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Donne sfruttate, troppa miseria e malattie Così l’umanità ha fallito i suoi obiettivi

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Anche solo guardando i numeri che riguardano la popolazione femminile a livello mondiale, dall’accesso all’istruzione, alle cure mediche, al lavoro, è chiaro che abbiamo fallito. Una persona su due in Africa Subsahariana vive ancora oggi in una slum e un lavoratore su due al mondo opera in condizioni cosiddette “vulnerabili”, senza la certezza di un salario o di diritti.
Un bambino su 4 soffre la fame e dal 2000 a oggi gli “orfani di AIDS” sono molti di più rispetto a 15 anni fa. E ancora, 57 milioni di bambini sono oggi esclusi da un programma di formazione primario, la metà rispetto a 10 anni fa, ma pur sempre un numero enorme, pari come ordine di grandezza all’intera popolazione italiana.Va detto: molto è stato fatto dal 1990 a oggi riguardo ai famosiMillennium Development Goals, gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, ma globalmente e soprattutto localmente, pare abbiamo poco da esultare. I dati li racconta un report pubblicato in questi giorni dalle Nazioni Unite, che fa il punto sugli 8 macro obiettivi, proprio nell’anno della resa dei conti, quello che nel 1990 era stato fissato come un momento di svolta per il mondo.

Mancano ancora troppi dati
Abbiamo fallito non solo perché nella maggior parte dei casi non abbiamo raggiunto i target che ci eravamo prefissati 25 anni fa, ma soprattutto perché per molti paesi, per molte persone, non abbiamo ancora dati. Se ci sconcertano le cifre riportate nel report infatti, dovrebbero lasciarci ancora più allibiti quelle che mancano: in molti casi per esempio i dati sono raccolti per famiglia, e non a livello individuale, il che rende difficoltoso avere il polso reale della popolazione femminile. Secondo quanto riportato nel report, in Oceania, Africa, Sudest asiatico e in Centro America oltre il 50 per cento dei paesi non avrebbero dati sulle cause di morte delle donne durante il parto.