Cosa ho letto, e amato, nel 2019

Ogni fine anno Goodreads propone “Il tuo anno in libri“, giocando di buona grafica, facendoti immaginare sprofondata in una poltrona morbida e logora, con cuscini e coperte fatte a mano, coloratissime e incoerenti l’una con l’altra, davanti al camino. Dentro, un te fumante che si mantiene in una teiera rotonda, stoviglie smaltate bianche e blu, fiori secchi ben sistemati, raccolti durante le ultime passeggiate autunnali nel bosco vicino a casa. Fuori, profumo di legna umida che riposa, l’orto che fa altrettanto, tramonti meravigliosi da godere alla finestra.

Bon, basta. Ci siamo capiti: i copy di Goodreads sanno il fatto loro. Poi cadono nell’entusiasmo algoritmico, dicendoti quante pagine hai letto, quale è il libro più popolare che hai scelto (in termini di letture, like, ecc), la media dei tuoi “voti” ai libri. Tutte cose che non hanno alcun significato, perché non è proprio vero che ogni cosa che possiamo misurare la dobbiamo misurare davvero.

Tuttavia, rimane per me un appuntamento interessante per abbracciare in uno sguardo il cammino fatto quest’anno. Sì, lo so che Amazon dialoga con Goodreads e processa i miei gusti per propormi libri che potrebbero interessarmi, ma ogni volta che sento questa obiezione mi sembra un tradimento dei lettori (le persone molto attive su Goodreads sono necessariamente lettori forti, non dico solo come numero di libri letti, ma come attitudine allo studio). Il lettore non legge per intrattenersi, non solo almeno. Legge perché sta seguendo un suo cammino di scoperta delle proprie categorie, e pertanto le proposte di Amazon vengono anch’esse processate dal nostro cervello.

Tornando al mio 2019, ho letto delle poesie meravigliose, approfondendo per esempio Giovanni Raboni Passa il tempo, ci sentiamo/ più grandiosi ogni giorno: però/ siamo sempre la gente che tira su il sopracciglio/ o si gratta la punta del naso, continuiamo
a pensare che tipi così (quello/ che striscia e non ha palbebre quello che fa/ l’amore con le forchette e con la corda) siano/ rispetto a noi, qualcuno – a non capire/ che c’è abbastanza posto per ciascuno di loro/ in ciascuno di noi. Ho letto il nuovo libro di Patrizia Valduga (di cui Raboni era compagno) , dedicato alla mia Belluno e soprattutto ho parlato con Patrizia, che mi ha detto avevo lo sguardo di una donna greca, cosa che mi giocherò per tutta la vita. E poi finalmente ho letto tutta la poesia di Wislawa Szymborska, una e trina, immensa, immensa enciclopedia dell’animo umano. Ma non in ordine alfabetico, perché la ricerca di sé non è lineare. Mal preparata all’onore di vivere/ reggo a fatica il ritmo imposto dell’azione/ Improvviso, benché detesti improvvisare/ Inciampo a ogni passo nella mia ignoranza/ Il mio modo di fare sa di provinciale/ I miei istinti hanno del dilettante/ L’agitazione, che mi scusa, tanto più mi umilia/ Sento come crudeli le attenuanti. Poi c’è tutta la poesia che ho letto online, e che mannaggiammè non posso ritrovare, perché sono pigra a prendere appunti.

Per motivi “accademici”, il mio 2019 è stato zuppo di storia, antropologia, filosofia, sociologia delle religioni: ebraismo e islam su tutti. Se si è intellettualmente onesti e non meri tech-enthusiasts dell’ultima ora, non si può non considerare la religione (come categoria) una chiave di lettura della nostra storia. Ho letto dei Midrashim, in particolare ho approfondito la storia di Giona, per la prima volta. Uno sguardo un po’ diverso sulla Bibbia, e ho capito perché dovremmo studiare un po’ tutti antropologia prima di immetterci come adulti nel mondo, anche se forse ciò che conta è aver fatto un po’ di percorso prima, aver incontrato Lo Straniero, altrimenti come in Durkheim, rimane tutto un esercizio di stile. Ci sono volute più di 1000 pagine Einaudi ma ho intravisto il nodo che nell’altissimo Medioevo connetteva ebrei, musulmani, ellenisti e cristiani.

Poi ci sono i miei amati gialli. Nel 2019 ho letto il miglior enigma della mia vita (tranne quello sull’amare e essere riamati per sempre, che rimane #1): Le Sette Morti di Evelyn Hardcastle, e ho proseguito nel mio obiettivo di leggere tutto Leo Malet. Mi manca poco adesso, anche se poi Nestor Burma  e la sua Parigi mi mancheranno tantissimo, mentre continuo a non avere nostalgia di Simenon, ma siccome mi sento fuori dal coro, ogni tanto ci provo ad amarlo. Ho anche letto una grossa fetta di Deer Biggers, perché Charlie Chan è uno spasso. Mi sono sforzata di scoprire nuovi giallisti contemporanei, ma continuano a non darmi gioia come Agatha, Conan, van Dine, di cui purtroppo ho già letto tutto. L’unico incontro davvero simpatico è stato quello con la super Zia Poldi in una Sicilia alcolica e gialla.

Non so se vi capita, ma ci sono autori di cui avete bisogno, ogni tanto. Necessari, ma con un ritmo tanguero, dove non senti il bisogno di divorare ogni loro parola subito, come invece mi capita con Malet o Wislawa. Per me lui è Mario Vargas Llosa, genio assoluto, erotico stomp. Quest’anno ho letto I quaderni di Don Rigoberto, e non ho null’altro da dire, se non che conosco meglio il mio profumo. Ho letto anche Crocevia, il suo ultimo libro, come un’anticamera.

Il viaggio. Io non amo viaggiare, o meglio, mi piace camminare, ma non stare in mezzo alla folla, o con persone a cui devi spiegare i perché. Mi piacciono i luoghi solitari e vicino a casa, penso perché si concilia con la mia mania del voler sempre e comunque dormire a casa mia, a costo di lunghi viaggi di rientro. Leggo periodicamente Paolo Rumiz, che sa viaggiare in questo modo, e che mi permette di non farlo io. Il Filo Infinito racconta il suo peregrinar per monasteri benedettini cercando Europa, e senza dubbio mi ha aiutata a definire il mio lavoro giornalistico di quest’anno, dove ho scritto molto molto molto di giustizia sociale. Chissà se si è visto. Rumiz ci aiuta a capire che possiamo cogliere  un insegnamento da ogni simbolo, anche religioso, se lo interpretiamo come una metafora del nostro agire verso gli altri e per capire cosa conta sul serio. Ci si sente, il che è cento volte meglio che capirsi. Forse non c’è niente di peggio che una lingua comune per creare malintesi/ Mostrare uno zelo buono, per non incartarsi nel lavoro/ Ma quanta fatica stare nel mondo lavorando sulle parole contrarie in perenne stato di allerta.

Questo discorso è uno dei miei leitmotif degli ultimi anni, e anche Teologia per tempi incerti di Brunetto Salvarani, mi ha dato una mano a inquadrare alcuni aspetti, per esempio ho realizzato con questo testo che nel 2020 i miei lavori useranno più la parola “umiliati” e meno “oppressi”. In questi giorni ho letto Una segreta complicità, le lettere che si sono scambiati Mircea Eliade ed Emil Cioran in quarant’anni di vita: Ogni cosa che non sia poesia, musica o mistica, è tradimento. Consiglio: regalatevele, e fate in modo di avere almeno un amico che sia un compagno di viaggio di questo tipo.

Ho iniziato, ma sono lungi dall’aver finito, Vita e Destino di Vassily Grossman, mentre ho letto tutto d’un fiato, spinta da ragioni sentimentali alla fine inutili, lo ammetto, La Variante di Luneburg, di Paolo Maurensig. Ma era ora, quindi bene così. La cosa curiosa è che quando incontro il Sentimento c’è sempre di mezzo Maurensig in qualche modo, direttamente o no. L’ultima volta era Canone Inverso, ed è ancora. Ho anche scoperto – finalmente, grazie alla dritta di un amico – chi era Anne Marie Schwarzenbach, grazie alla penna fine di Melania Mazzucco. E oggi, con i nostri mezzi, possiamo essere con più agio un po’ più tutte Anne Marie, e saremmo tutte più tolleranti le une con le altre.

Ho letto Fofi e un po’ di sano anarchismo culturale, che ci riporta in carreggiata, e il dolce acuto racconto di Antonio Bortoluzzi Come si fanno le cose. Dico dolce perché racconta la mia terra e i miei ricordi, e intanto ha aggiunto dei tasselli circa il percorso verso l’essenziale di cui sopra. Ho letto delle storie di relazioni, come lo spiazzante Il mio anno fra Riposo e Oblio di Ottessa Moshfegh, e Il Cuore non si vede di Chiara Valerio, che non so se ho capito.

Non si offendano i tanti autori letti che non ho citato, è comunque tutto ben catalogato su Goodreads qui, e questo post è già molto lungo.

È stato un bel viaggio il mio quest’anno, anche perché tutti questi Holzwege, questi sentieri interrotti, non sono per aria, ma solcano il mio relazionarmi quotidianamente con gli altri, con la vita vera, nei bar, sul lavoro, alla sagra, agli incontri letterari, nell’intimità dei rapporti.

Per quanto mi riguarda è questo il mio vero lavoro. Mentre il lavoro che si vede, gli articoli giornalistici e bla bla, alla fin fine viene da sé, senza alcun merito creativo da parte mia.

lk

Immagine: Presepe di Castellavazzo (Belluno), dove  rivivono le persone del paese che non ci sono più ma che hanno lasciato una traccia indelebile nella comunità. Questa è la casa dei miei bisnonni, riprodotta fedelmente in scala, così come i miei bisnonni stessi. Maestria di Vittorio Talamini e amici.

 

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