Prevenire il cancro al seno e al colon-retto: l’efficacia delle raccomandazioni sullo stile di vita

Il tumore al seno e quello al colon-retto sono il secondo e il terzo tipo di cancro più diffusi al mondo, dopo quello del polmone, e la prevenzione può incidere notevolmente sulla salute individuale e collettiva. Per questo il World Cancer Research Fund (WCRF), in collaborazione con l’Health Research Institute delle Isole Baleari e la Harvard T.H. Chan School of Public Health, ha analizzato oltre 170 studi scientifici per valutare il legame tra dieta, altre abitudini e il rischio di sviluppare tumori colorettali e alla mammella. I risultati emersi hanno così confermato ancora una volta che quanto più si seguono le indicazioni per prevenire i tumori, tanto più è possibile ridurre il rischio di sviluppare questi tipi di cancro.

L’analisi

I ricercatori hanno considerato i risultati pubblicati di 86 studi sul tumore del colon-retto e di 84 sul cancro al seno. L’obiettivo era analizzare le evidenze scientifiche riguardanti la relazione tra dieta, altre abitudini di vita e il rischio di sviluppare queste due forme di cancro. Si tratta infatti di due tipi di tumori noti per la forte influenza di fattori modificabili come l’alimentazione e i comportamenti.

In parallelo il gruppo ha pubblicato 3 revisioni sull’American Journal of Clinical Nutritionla prima, a gennaio 2025, ha riguardato alimentazione e stile di vita in relazione al tumore al seno, mentre la seconda e la terza, pubblicate a maggio 2025, hanno approfondito 2 approcci per il tumore colorettale. Il messaggio chiave che emerge dal rapporto è che le raccomandazioni dietetiche e comportamentali devono essere considerate nel loro insieme, come parte di un sistema di suggerimenti integrati e non come una somma di regole isolate. Dall’analisi emerge anche che i principali fattori di rischio per questi tipi di cancro variano a seconda dell’area geografica. Per esempio, secondo i dati raccolti dal Global Burden of Diseases Study, i fattori di rischio principali per il tumore del colon-retto sono l’alcol e il sovrappeso nei Paesi a più alto reddito, mentre in Africa subsahariana pesa maggiormente la carenza di calcio

Ma quali sono le indicazioni più efficaci per prevenire il tumore del colon-retto e quello del seno?

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Dieta vegana e dieta onnivora. L’esperimento dei gemelli su Netflix spiegato bene 

Oggi esce la prima puntata dell’inchiesta su cibo e salute che ho curato su Info Data – Il Sole 24 Ore.

Vedremo che cosa dice davvero la letteratura scientifica sull’alimentazione vegana, vegetariana e onnivora, cercheremo di inquadrare le diverse definizioni (alimentazione a base vegetale vs dieta vegana vs vegetarianismo), per capire se davvero è necessario fare scelte radicali per avere dei benefici. Chiacchiereremo – anche in video! – con una persona che ha fatto della cucina vegetale una mission, ci interrogheremo su quanto sia una moda e quanto invece un momento di svolta sociale e di mercato, su quanto gli ospedali offrano oggi una dieta sana ai pazienti, sul fatto se sia possibile o meno svezzare un bambino con un’alimentazione vegetale.

📌In questa prima puntata abbiamo esaminato il documentario in 4 puntate dal titolo Sei ciò che mangi, uscito a gennaio su Netflix, che racconta uno studio pubblicato sulla nota rivista scientifica JAMA, il quale ha evidenziato che mangiare vegano porta più benefici alla salute rispetto a seguire un’alimentazione onnivora, per quanto sana. Chi lo vede si sente coinvolto, non c’è che dire. Ci sono le storie, i volti, le fatiche delle persone. Ma che cosa ci dice questo esperimento e che cosa ancora non ci dice?

Leggi la prima puntata su Il Sole 24 Ore

Ecco, spero possa interessare, perché ci abbiamo lavorato molto.

PS. Sottolineo nuovamente che l’inchiesta affronta l’argomento da una prospettiva di salute individuale, perché altrimenti non veniva fuori un’inchiesta ma un libro. Non si sa mai che in futuro affronteremo anche altri aspetti legati all’alimentazione “vegetale”.

La disinformazione sul Coronavirus e cosa sappiamo finora

Come spesso accade quando c’è di mezzo l’epidemiologia, questo nuovo Coronavirus con epicentro nella città di Wuhan, in Cina, sta generando panico, basato per lo più su notizie non correttamente interpretate. L’idea che “non ce la stiano raccontando tutta” e altre bufale più o meno fantasiose, come quella secondo cui il virus sarebbe stato prodotto in laboratorio, stanno circolando in rete e sui media mainstream, rimbalzati da una parte all’altra del mondo. Al tempo stesso la buona notizia è che le istituzioni dei governi nazionali (ministeri, istituti di sanità, università, ospedali, medici) stanno facendo finora un buon lavoro, rispetto a epidemie precedenti, per diffondere il più possibile tramite i social network il reale fact-check della situazione. Vediamo come stanno le cose, dati alla mano.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel rapporto giornaliero diffuso la sera del 26 gennaio ha confermato che “la valutazione sul rischio non è cambiata da quella condotta il 22 gennaio: il rischio è molto alto in Cina, alto a livello regionale e alto a livello globale. La buona notizia è che nonostante il rischio potenziale sia elevato, con adeguate misure di sicurezza legate anzitutto agli aeroporti possiamo arginare eventuali ulteriori casi fuori dalla Cina”.

«La prima cosa da dire è che è la prima volta che è stato messo in atto un sistema di controllo coordinato a livello globale, anche grazie a quanto abbiamo imparato dalle epidemie passate», racconta a Valigia Blu Fabrizio Pregliasco, virologo presso l’Università Statale di Milano e Direttore Sanitario dell’IRCCS Galeazzi del Gruppo San Donato. «Non possiamo escludere a priori la possibilità di un caso in Italia, ma anche fosse sappiamo come contenerlo. Questo nuovo Coronavirus è sicuramente un’allerta, ma al di là dei numeri ballerini, o dei primi casi che potrebbero essere sfuggiti, la dimensione attuale dal momento è un focolaio, che grazie alla quarantena in Cina e ai controlli aerei nel resto del mondo, stiamo controllando».

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Povertà, lavoro, istruzione: Italia lontana dagli obiettivi delle Nazioni Unite per il 2030

Stando ai dati Eurostat, dal punto di vista del raggiungimento degli Obiettivi di sostenibilità dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite l’Italia non ne esce benissimo rispetto al resto dell’Unione Europea. Per lo meno analizzando gli obiettivi che riguardano la povertà, il mondo del lavoro, le disuguaglianze sociali ingiuste e la salute della popolazione.

La popolazione a rischio di povertà ed esclusione sociale è maggiore in proporzione in Italia rispetto alla media europea (30% contro 23,5% medio), e soprattutto dal 2010 a questa parte le cose sono andate peggiorando: 8 anni era a rischio povertà un italiano su 4, oggi uno su 3. Come conseguenza, la percentuale di popolazione che vive in condizioni di grave deprivazione materiale è quasi doppia rispetto alla media UE: il 12,1% contro il 7%. Nel 2010 era il 7,4% degli italiani a vivere in queste condizioni.
Un esempio concreto: abbiamo il doppio di cittadini che nel 2016 non avevano abbastanza risorse per riscaldare la propria casa adeguatamente: il 16% della popolazione. E se in media nell’Unione Europea si è riusciti in 6 anni a ridurre questa fetta di persone, in Italia siamo riusciti ad allargarla. Un quinto degli italiani vive i case che sono definite povere, o fatiscenti.

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