#11 – Il gallo e la neve

Nessun bilancio per carità, non mi fanno mai bene, sono solo di moda per illuderci di aver fatto dei passi nella giusta direzione, “concluso qualcosa”. C’è un’espressione in inglese che rende bene l’idea, secondo me: be on track, (letteralmente “essere in pista”) che esprime l’idea di camminare alla velocità giusta, aver espletato nei tempi prestabiliti ciò che dovevamo fare, che sia chiudere una serie di progetti lavorativi, o raggiungere scopi personali. Alla fine dei bilanci però ti trovi in mano solo una serie di colpe da distribuire come caramelle. Mi è capitata per caso sotto gli occhi la poesia “Disattenzione” dell’amata Wislawa. Lo so, la cito spesso, ma la rileggo spesso. Scrive:

Ieri mi sono comportata male nel cosmo.
Ho passato tutto il giorno senza fare
domande,

senza stupirmi di niente.

Ho svolto attività quotidiane,
come se ciò fosse tutto il dovuto.

È strano voler rileggere e rileggere questa poesia, in un anno che per me, è stato uno shock sotto diversi aspetti, che di fatto ancora non ha provocato una reazione. Ho fatto talmente tante domande, e mi riferisco ai tanti articoli e non solo, sulla pandemia, sui dati, sull’incertezza, che non si sono sedimentate le risposte. E sebbene sotto shock non mi sono ancora stupita di niente. In questi giorni di neve, per me stupendi, anche se appesantiti, sto pensando al tema del vaccino per il COVID19, seguendo un po’, ma non tanto. Sono immersa nelle letture, nella musica, nella neve. Sono sempre pessimista nella ragione e ottimista nella volontà, continuando a dire, come facciamo dall’estate, che se ne uscirà ben che vada a settembre 2021. Mi sono un pochino emozionata il 27 dicembre nel vedere le prime persone vaccinate, ma meno di quanto avrei pensato. Mi sono chiesta il motivo, e vedo due ordini di ragioni: il primo è di pancia, sono così carica di emozioni che forse al momento non c’è più spazio. Ma soprattutto, non trovo che stiamo dando il meglio di noi nella narrazione sui vaccini. Si discute di obbligo vaccinale come se stessimo scegliendo il colore di una casa. Io mi vaccinerei immediatamente, se fosse possibile, ma al momento non ho una risposta da abbracciare al 100% se sia giusto o meno introdurre l’obbligo vaccinale in questo caso specifico. Non riesco a comprendere le ragioni scientifiche di chi non vuole vaccinarsi: il vaccino è un farmaco come un’altro, con possibili effetti collaterali, rarissimi e per la maggior parte lievissimi, così come qualsiasi farmaco si assuma. Così come la puntura di un’ape, di una zecca, il morso di una vipera. Niente nella vita è davvero a rischio zero, mentre il COVID19 è un problema sociale enorme e che se lo prendi male, non solo muori, ma muori male, soffocato. O puoi vivere con la consapevolezza che hai contagiato un tuo caro che è morto male, e forse questo è peggio. Inoltre, chi non si fida di un vaccino può potenzialmente farne “verificare” il contenuto da un laboratorio di fiducia.

Al tempo stesso non mi piace la presa in giro dell’interlocutore, perché penso che queste cose si possano spiegare, anche se non su Facebook. A tu per tu, ognuno nella sua cerchia, e chi rimane della sua idea, lo farà per ragioni non “scientifiche” (per es non mi vaccino per non darla vinta al sistema, per principio, per affermare la mia libertà di scelta”), ma di altro tipo, e pazienza. Questo “e pazienza” ha un peso notevole per me, ci ho messo anni ad accettare che è forse la cosa migliore. Credo dobbiamo lavorare per dare gli strumenti per capire, ma di fronte a visioni tanto diverse dalle nostre, proprio sul senso della vita, della morte, non si può fare nulla. Credo che le grandi Svolte della vita, le cose che ci fanno completamente cambiare idea su qualcosa, i punti di non ritorno, non sorgano dalle spiegazioni a tavolino, ma dagli shock che subiamo a livello molto intimo. Per questo sto trovando molto volgare questo litigare su “io posso importi il vaccino”- “no non puoi impormi niente”. L’importante è parlarci il più possibile, cogliere tutte le occasioni per raccontare i pro e i contro della vaccinazione, e viene da sé che i pro, sia per noi che per le nostre comunità, siano molti di più dei contro. Non ci si vaccina perché qualcuno te lo ha imposto, né per “la politica”, ma perché c’è troppa sofferenza intorno a noi, malati, morti, operatori sanitari allo stremo, che possiamo evitare. Ho detto una serie di cose ovvie, già dette molto meglio di me da altri.

“Eh ma ci guadagnano le case farmaceutiche”. Già. Come ho scritto i giorni scorsi, il più bel giorno sarebbe un mondo dove non c’è un brevetto per un vaccino contro una pandemia. Nella mia Utòpia (lo è, lo so) ad aprile le aziende farmaceutiche avrebbero studiato insieme, con il contributo di enti pubblici e privati, per trovare il vaccino migliore, che avrebbero prodotto tutte insieme, mettendo a disposizione tutti gli stabilimenti del mondo, producendo tante più dosi da distribuire subito a tutti i paesi secondo la popolazione. Vabbè, ciaone, forse dovrei cambiare mestiere. Però sul brevetto ci sono diverse riflessioni su SaluteInternazionale.info. Anche su Infodata abbiamo scritto una cosa sulla differenza fra filantropia e bene comune, con un’intervista a Gavino Maciocco.

Mentre concludo questo lungo paragrafo penso che sono fortunata: non rischio – spero – la galera per aver espresso le mie opinioni. In Cina qualche giorno fa hanno condannato a 4 anni di prigione una giornalista che aveva fatto reporting nelle prime fasi della pandemia a Wuhan perché aveva “diffuso ansia e tensione sociale”. Io le avrei fatto compagnia mi sa. Però come cambiano le cose anche le piccole persone, anche se il più delle volte quando lo fai ti trovi solo. Come sapete sto vivendo da vicino una vicenda sui generis, nel panorama sanitario mondiale. Proprio oggi è uscita questa intervista a Francesco Zambon su AGI, dove riflette proprio su questo triste aspetto: la solitudine quando affronti qualcosa di grande, quando si chiede di rischiare qualcosa. C’è un brano perfetto che mi sono andata a rileggere, lo conosciamo tutti:

69 Pietro intanto se ne stava seduto fuori, nel cortile. Una serva gli si avvicinò e disse: «Anche tu eri con Gesù, il Galileo!». 70 Ed egli negò davanti a tutti: «Non capisco che cosa tu voglia dire». 71 Mentre usciva verso l’atrio, lo vide un’altra serva e disse ai presenti: «Costui era con Gesù, il Nazareno». 72 Ma egli negò di nuovo giurando: «Non conosco quell’uomo». 73 Dopo un poco, i presenti gli si accostarono e dissero a Pietro: «Certo anche tu sei di quelli; la tua parlata ti tradisce!». 74 Allora egli cominciò a imprecare e a giurare: «Non conosco quell’uomo!». E subito un gallo cantò. 75 E Pietro si ricordò delle parole dette da Gesù: «Prima che il gallo canti, mi rinnegherai tre volte». E uscito all’aperto, pianse amaramente.

(Matteo 26,69-75. Ho scelto Matteo perché mi piace più degli altri.

Questa vicenda mi fa riflettere una volta di più sul fatto che siamo sempre uguali agli uomini dei secoli e dei millenni passati. E con questa cosa dobbiamo fare i conti, specie noi “comunicatori” che abbiamo talvolta la vista accecata dalla luce di lampadina. Quando abbiamo paura, quando soffriamo, non siamo diversi dal pastore che guarda la luna di Leopardi, o dall’umanità di Omero, di Dante. Altra cosa banalissima, ma che più cresco più mi par chiara.

Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi, che fai,
silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
contemplando i deserti; indi ti posi.
Ancor non sei tu paga
di riandare i sempiterni calli?
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
di mirar queste valli?
Somiglia alla tua vita
la vita del pastore.
Sorge in sul primo albore
move la greggia oltre pel campo, e vede
greggi, fontane ed erbe;
poi stanco si riposa in su la sera:
altro mai non ispera.
Dimmi, o luna: a che vale
al pastor la sua vita,
la vostra vita a voi? Dimmi: ove tende
questo vagar mio breve,
il tuo corso immortale?

Gläserkorb und Pastete, Sebastian Stosskopf. Elab Paolo Spinicci

Oggi nessun consiglio di lettura EP sui temi giornalistici perché come dicevo sono in riposo, leggo tanto, ma non i giornali. Ma condivido questa immagine che mi ha inviato un amico di penna, musicista e filosofo, con questo augurio: “E’ un’immagine bella della fragilità dell’umano. Quei bicchieri erano in ordine prima che succedesse qualcosa. Forse scritto nella lettera, che ha creato un disordine per cui i bicchieri sono, nella loro bella fragilità, in disordine. È una bella immagine dell’umano, della sua fragile bellezza che permane anche nel decadere delle cose.”

Concludo con questa che è la chiusa di un libro che ho letto in questi giorni e che vi consiglio “Mendel dei Libri” di Stefan Zweig (Adelphi). Sono 32 pagine preziose:

«Perché lei, l’ignorante, aveva almeno conservato un libro, per ricordarsi meglio di lui, mentre io, io per anni avevo dimenticato Mendel dei libri, proprio io che avrei dovuto sapere che i libri si fanno solo per legarsi agli uomini a di là del nostro breve respiro e difendersi così dall’inesorabile avversario di ogni vita: la caducità e l’oblio.»

E detto questo, vado a spalare la neve.

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