Nella vita, lo sappiamo, una scelta può rivelarsi giusta, alla fine, anche se mossa da motivi poi rivelatasi sbagliati. Succede. La riapertura delle scuole è un esempio di questa complessità: tenerle chiuse potrebbe rivelarsi la scelta più giusta, permettendoci di contenere i contagi in questa fase delicata. Ma il punto è che non c’è al momento un motivo davvero “scientifico” per optare per l’una o l’altra scelta, perché non ci sono studi definitivi sull’impatto della scuola sull’andamento dei contagi. Ci sono delle correlazioni valide, per esempio che a ottobre la curva dei contagi è risalita aprendo la seconda ondata, proprio dopo una ventina di giorni dall’apertura delle scuole, ma non ci sono ancora delle certezze circa la causalità diretta. La differenza fra questi due concetti è centrale per la scienza: “correlation is not causation”.
Un esito può essere frutto della concorrenza di diversi fattori, dove il peso di ognuno cambia a seconda del contesto locale che si analizza. Per questo parlare “dell’impatto della scuola”, tutto al singolare, può essere fuorviante.
Significa che se non abbiamo dati certi non dobbiamo chiudere le scuole? No, vuole solo dire che la scelta di non riaprire la scuola può essere solo una scelta di prevenzione per provare a ridurre a priori i contatti fra famiglie in un momento in cui i contagi sono ancora alti, il personale medico è allo stremo, gli ospedali sono ancora in difficoltà e le coperture vaccinali procedono a rilento.