#8 – Monta su che andon a pié

Ieri pomeriggio, al tramonto di una settimana impegnativa, arriva finalmente il Genio. Email dall’Ordine dei Giornalisti del Veneto. Già l’oggetto mi prepara al disagio: “Testate giornalistiche sul sito dell’ordine”. Olo dir che? No se sa. Proseguo.

“Gentili colleghi,
in risposta alle segnalazioni relative all’esiguità del numero di posti disponibili per seguire i corsi streaming, organizzati in via sperimentale dall’Ordine dei giornalisti del Veneto, si precisa che il tetto massimo di 30 partecipanti è indicato dall’Ordine nazionale al fine di garantire un adeguato e puntuale controllo di chi partecipa ai corsi. L’Ordine Veneto non ha possibilità di elevare il numero di partecipanti, in quanto non sarebbe possibile registrarli nella piattaforma Sigef.”
Calmi, non è finita. “Al fine di agevolare il più possibile i colleghi veneti, è stato inoltre deciso di comunicare in anticipo, in via sperimentale, l’apertura della fase di iscrizioni a ciascun corso in streaming: il giorno prima del previsto avvio delle iscrizioni, la Segreteria dell’Ordine invierà una mail a tutti gli iscritti avvertendoli che sarà possibile iscriversi al corso a partire dalla mezzanotte.” Pionieristico.

Ma poi arriva la vetta: “L’Ordine dei giornalisti ha deciso di rendere accessibile l’elenco delle testate giornalistiche a tutti sul sito internet con l’obiettivo di offrire un servizio ai colleghi, ma anche a tutti i cittadini.” Beissimo!!! Ah no, ‘speta, che no savon ben quante che ghe xe. “Per il momento si tratta di un elenco parziale che, nelle intenzioni, dovrà essere man mano arricchito grazie alle segnalazioni degli stessi direttori, giornalisti o editori.”

A Belluno in questi casi si dice, appunto, “Monta su che ‘ndon a pié”.

Con questa gioia mi accingo a sintetizzare le cose interessanti EP lette in settimana. Anzitutto questo lavorone di Filippo Mastroianni su Infodata, che mostra che in Calabria non mancano solo le strutture sanitarie e i medici. Mancano le strade per raggiungere gli ospedali e i luoghi di cura. Segnalo anche questo articolo del New York Times che spiega la situazione italiana. Per quanto riguarda i vaccini sul COVID, consiglio questo lavoro di ValigiaBlu, e anticipo che nei prossimi giorni su 24+ uscirà un’interessante chiacchierata che ho fatto io di persona personalmente sull’argomento con una persona che ne sa a pacchi. Cercheremo di inquadrare la questione nella cornice giusta: l’approccio deve essere filantropico o di bene comune? Per prepararci consiglio di leggere gli articoli più recenti di SaluteInternazionale.info.

Passando ad altro, una cosa bella del mio twitter è che seguendo molti account di musica antica trovo vere e proprie perle, e intesso discussioni con persone che mai altrimenti. Nicchia Felix. Per esempio il profilo Musical Notation is Beautiful, che ha postato questo vecchio sparito di Salamone Rossi “Ha-shirim Asher Li-Shlomo”. A prima vista può non dirvi nulla, così come a me, ma poi se pensiamo che la musica si scrive da sinistra a destra (anche qui) mentre l’ebraico da destra a sinistra, questo intreccio diventa incredibilmente interessante. Ne è nata una bella discussione sotto il tweet.

Poi, in questi mesi, con il coro barocco di cui faccio parte (Gruppo Vocale Crystal Tears), stiamo studiando un Magnificat meno conosciuto, quello di Francesco Durante (1684 — 1755). Quando dico studiando intendo che stiamo tentando di proseguire lo studio su Zoom… per lo meno la parte di apprendimento note. Poi chiaro che la vocalità è un’altra faccenda, ma almeno così manteniamo un filo. Ho realizzato per la prima volta quanto sia meravigliosamente rivoluzionaria questa parte:

Deposuit potentes de sede, et exaltavit humiles; esurientes implevit bonis, et divites dimisit inanes.

Companeros de la rivolucion. È bello ascoltare come è stato reso musicalmente in modo diverso da Bach, Vivaldi e Cimarosa, oltre che da Durante. (per me il suo è il Deposuit più intenso).

Ho condiviso questa cosa su twitter e una persona mi ha prontamente commentato che era curioso di capire perché “posto spesso cose della ‘tradizione cattolica’, in contrasto con il mio essere giornalista scientifica”. Non ce l’ho assolutamente con chi mi ha fatto questa domanda, ma mi dispiace sempre un po’ quando ricevo questo genere di appunto, perché mi sento di dover precisare che non sono credente, e mentre lo faccio non sono soddisfatta, perché è ridicolo che teniamo sempre lì il livello del dibattito, come se si trattasse di un percorso evolutivo. Sembra un volersi giustificare in qualche modo, come a dire “no tranquillo, non cado mica nella trappola”. Mi ricorda quella figura un po’ triste che fece Carlo Rovelli in una conversazione con Gianfranco Ravasi al Cortile del Gentili qualche anno fa. Ci sono biblioteche su questo tema, quindi non aggiungo altro. Ma provo a rispondere, come ho risposto all’amico di twitter: trovo che il mio cammino come persona sia in minima parte costituito dal mio essere giornalista scientifica. Cerco di vivere la mia vita e le mie relazioni traendo spunto dai grandi messaggi che incontro, e “la buona novella” è la rivoluzione umana che mi ha folgorata maggiormente. Ogni tanto penso addirittura che se riuscissi ad avere fede in qualcosa, sarei umanamente più completa, ma non avendola di fatto non ne sento l’esigenza. Molto banalmente, per quello che finora ho studiato, la filosofia, la letteratura, mi hanno dato tanto, mi hanno costruita come persona, ma non ho trovato altrove messaggi umanamente così grandi come, appunto, la buona novella. Tutto ciò che ne è stato fatto del messaggio di Cristo, quindi, mi interessa (arte, musica, poesia, vite dedicate, esperienze). Però, il mio interesse non è verso la tradizione cattolica o peggio verso le sue derive bigotte, ma semmai verso l’esperienza cristiana. Chiaramente questo è quello che sento ora, chissà il cammino della vita dove mi porterà. Al momento so che la ricerca deve essere a 360 gradi, mentre è lo scientismo, quello che sa già cosa escludere, la vera religione da temere. Poi, quando si fa giornalismo si cercano i dati, i fatti, la cosa. Ma perché vale la pena farlo, beh, quelle sono ragioni più profonde.

Perdonerete, oggi va così. Condivido volentieri, perché solo condividendo si ricevono spunti interessanti.

Concludo con un brano stupendo che ho ricevuto questa settimana da una persona qui sopra, perché sì: mi vergogno ma non sono mai riuscita a leggere per intero un libro di Dostoevskij, anche se con tutto quello che ho letto intorno a lui avrei quantitativamente coperto i Karamazov.

«La sua anima traboccante anelava alla libertà, allo spazio, all’infinito. La volta celeste, punteggiata di placide stelle splendenti, si stendeva ampia e sconfina- ta sopra di lui. La Via Lattea si allungava in due pallide striature dallo Zenit all’orizzonte. La notte fresca e tranquilla sino all’immobilità avvolgeva la terra intera. Le bianche torri e le cupole dorate della cattedrale rilucevano sullo sfondo del cielo color zaffiro. I lussureggianti fiori autunnali delle aiuole intorno alla casa si erano assopiti in attesa del giorno. Il silenzio della terra sembrava fondersi con quello del cielo, il segreto della terra faceva tutt’uno con quello delle stelle… Alëša stava in piedi, ad osservare la notte, quando ad un tratto si gettò di colpo per terra. Non sapeva perché stesse abbracciando la terra, non si spiegava perché desiderasse così irrefrenabilmente baciarla, eppure la baciava, piangendo, singhiozzando, la irrorava con le sue lacrime e giurava passionata- mente di amarla, di amarla nei secoli dei secoli. “Irrora la terra con le lacrime della tua gioia, e amale quelle tue lacrime” – risuonò dentro di lui. Per che cosa stava piangendo? Oh, nella sua esultanza egli piangeva persino per quelle lacrime che brillavano per lui dall’abisso della notte, e “non si vergognava della propria estasi”. Era come se i fili di tutti questi innumerevoli mondi divini si fossero uniti tutti insieme nella sua anima, ed essa trepidasse al contatto con gli altri mondi. Aveva voglia di perdonare tutti, di tutto e di chiedere perdono, ma non per se stesso – no! – ma per tutti, per tutto e per ogni cosa, mentre “per me saranno gli altri a chiedere” – gli risuonò ancora nella mente. Ma ad ogni istante egli avvertiva chiaramente, e quasi tangibilmente, che qualcosa di stabile e im- perturbabile, come la volta del cielo, era penetrato nella sua anima. Era come se un’idea avesse preso il sopravvento nella sua mente – e per tutta la vita, e per i secoli dei secoli. Quando era caduto a terra era un giovane fragile, ma quando si alzò era ormai un guerriero risoluto per tutta la vita, questo lo avvertì subito, ne fu subito consapevole, in quello stesso momento di estasi. E mai nel corso della sua vita, Alëša poté dimenticare quell’istante. “Qualcuno visitò la mia anima inquell’ora”, diceva credendo fermamente alle proprie parole…».

F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov
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