Era un plebeo che, trovandosi aver quattro soldi, voleva competere coi cavalieri del suo paese; e, per rabbia di non poterla vincer con tutti, ne ammazzò uno; onde, per iscansar la forca, si fece frate.
Ha fatto parlare l’annuncio (poi mitigato) da parte del noto Liceo pubblico “Manzoni” di Milano, di dare la precedenza, per l’anno venturo, a quelli che hanno ottenuto la media del nove o del dieci in italiano, matematica e inglese in seconda media e risiedono nel centro di Milano. Gli spazi sono pochi: bisogna scegliere. Da subito i ragazzi stessi del collettivo del Manzoni non ci stanno: è discriminazione elitaria. Il nostro Abbondio, non nobile, non ricco, coraggioso ancor meno, s’era dunque accorto, prima quasi di toccar gli anni della discrezione, d’essere, in quella società , come un vaso di terra cotta, costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro. Sebbene infatti ci siano sempre state le eccezioni di persone brillanti provenienti da famiglie operaie o con genitori con un basso livello di istruzione, non è questa la norma. La maggior parte di chi eccelle a scuola, non solo alle medie ma in tutto il percorso scolastico, proviene da famiglie di ceto sociale più elevato, con familiari laureati. E solitamente, lo sappiamo, non vive in periferia.
L’arbitrio non si deve intender libero e assoluto, ma legato dal diritto e dall’equità, e frequentare un buon liceo significa per molti avere una grande occasione. Con un criterio di questo tipo invece, chi parte svantaggiato è condannato a perdere sempre più terreno, anche perché sappiamo che ai licei nelle grandi città si iscrivono per la maggior parte persone provenienti da un ceto sociale benestante.