Me lo ripete diverse volte, Rachele Somaschini, di essere stata fortunata. Fortunata a nascere a Milano, nel 1994, in una famiglia che ha saputo trovare il modo di farla convivere con la malattia senza che lei percepisse alcuna privazione o alcun timore di vivere per tutta l’infanzia. Fortunata perché una tra le due mutazioni genetiche ereditate è meno severa e sembra aver mitigato il decorso della fibrosi cistica. Ci sono persone malate che anche con la migliore assistenza medica e fisioterapica, con il migliore supporto familiare, scolastico e la giovane età, non vivono una quotidianità serena.
Rachele è un’atleta: oggi ha 25 anni e da quattro corre in macchina, sport in cui si è subito rivelata una campionessa. Uno sport che a qualsiasi altra persona solo a guardarlo toglie il fiato, mentre a Rachele il fiato lo dona.
“Lo sport è oggi ed è sempre stato centrale nella mia vita. Con mio padre, da sempre appassionato ed ex pilota, ho esordito a soli 19 anni in una gara storica e una volta salita non sono più voluta scendere dall’auto, con mia madre che per poco non sveniva dall’ansia!”. Rachele è stata fortunata perché è nata dopo l’approvazione della legge 104 del 1992, che fra le altre cose ha reso obbligatorio lo screening neonatale direttamente nell’ospedale di nascita. Grazie allo screening, i medici hanno potuto da subito ipotizzare la malattia di cui, a un mese dalla nascita con il test del sudore, è stata confermata la diagnosi. Una caratteristica della malattia è proprio il sudore, molto più salato di quello delle persone sane. Un proverbio tedesco del XVII secolo recitava «Morirà presto il bambino, la cui fronte sa di sale».