APPROFONDIMENTO – Qualche settimana fa The Lancet ha pubblicato un editoriale a firma di Nicola Low, dell’Istituto di Medicina Sociale e Preventiva dell’Università di Berna, che racconta come si sta evolvendo la prevalenza della clamidia, causata dal batterio Clamydia trachomatis, che si trasmette durante i rapporti sessuali e per via materno-fetale, fra la popolazione e sulle conseguenti difficoltà di trattare i casi in maniera adeguata. Nella donna se non curata, la clamidia può provocare importanti conseguenze, tra cui possibili danni alle tube di Falloppio, malattia infiammatoria pelvica, gravidanza extrauterina e insorgenza di infertilità.
Nell’uomo invece si possono manifestare infezioni dell’epididimo (il tubicino che consente il passaggio dello sperma), danni ai testicoli e infezioni alla prostata.
L’autore annovera tre punti su cui la medicina preventiva dovrebbe focalizzarsi: primo, sono state introdotte raccomandazioni per lo screening della clamidia senza prove randomizzate e controllate dei benefici effettivi dello screening sulla diminuzione della prevalenza. Anzi, a quanto sembra dagli ultimi studi condotti su questo tema in Gran Bretagna, siamo ancora davanti a un gap fra ciò che predicono i modelli matematici utilizzati dai ricercatori e l’effettiva prevalenza della malattia.
Secondo, la maggior parte delle infezioni da clamidia sono asintomatiche, quindi non esiste alcun segnale affidabile nei dati di sorveglianza che distingua tra i cambiamenti nell’incidenza e nei test.
Infine, anche volendole fare, le indagini di prevalenza annuali con copertura e precisione adeguate sarebbero finanziariamente irrealizzabili.