Provaci ancora, scienzato

Soltanto quando certi eventi ricorrono in accordo con regole, o regolarità, come nel caso degli esperimenti ripetibili, le nostre osservazioni possono esser controllate – in linea di principio – da chiunque. Non prendiamo neppure sul serio le nostre proprie osservazioni, né le accettiamo come osservazioni scientifiche, finché non le abbiamo ripetute e controllate. Soltanto in seguito a tali ripetizioni possiamo convincerci che non stiamo trattando con una semplice “coincidenza” isolata, ma con eventi che, grazie alla loro regolarità e riproducibilità, possono, in linea di principio, essere sottoposti a controlli intersoggettivi. […] In realtà l’effetto fisico scientificamente significante può essere definito come quell’effetto che può essere riprodotto regolarmente da chiunque conduca a termine nel modo descritto l’esperimento appropriato».

La faceva facile il filosofo della scienza Karl Popper quando identificava nella regolarità e nella riproducibilità i due pilastri della ricerca scientifica. In realtà, per le scienza biomediche ma non solo, la riproducibilità è una bella gatta da pelare. Secondo alcuni un miraggio.

Chi lo dice? Secondo uno studio di Nature, in media solo fra l’11 e il 25% degli studi in fase preclinica viene replicato per lo sviluppo di un farmaco. In un altro storico studio, i ricercatori della società Amgen non sono stati in grado di riprodurre 47 dei 53 studi di base importanti sul cancro prodotti nelle università.

Secondo l’énfant terrible della metodologia della scienza John Ioannidis “la maggioranza degli studi pubblicati sono falsi” (vedi articolo). Per esempio, a un’analisi retrospettiva di un set di articoli su studi clinici “highly cited”, le conclusioni del 16% di questi articoli venivano confutate da successivi articoli, mentre un altro 16% veniva considerevolmente ridimensionato da studi successivi.

Con buona pace di chi crede che le fake news siano un fenomeno essenzialmente giornalistico, emendabili sempre e comunque dalla Scienza.

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