“Non è l’immigrazione che ci impoverisce: è il capitalismo!”
Ecco, direi che è un’ottima sintesi di questo super libro di Marta Fana, che andrebbe distribuito in tutte le scuole superiori, di città e di provincia, e in tutte le università.
Ci sono diversi libri che parlano di lavoro, ma pochi che offrono una visione d’insieme su cosa lega le dinamiche sociali le une alle altre. L’autrice non si vergogna di ricercare nelle dinamiche odierne le categorie marxiste di accumulazione, di plusvalore, di critica alla produttività come fine ma anche come mezzo. Di operai e di lavoro povero. Di classe. Ho sempre pensato che fossero categorie validissime ancora oggi, seppur da contestualizzare in un sistema più complesso di quello ottocentesco, ma pare che si preferisca celarsi dietro altre parole più moderne per paura di sembrare i soliti polverosi lettori. Quindi bravissima Marta Fana per aver scelto di usare “parole grosse”.
Sono pochi anche gli autori oggi che propongono una vera visione rivoluzionaria del capitalismo, come se non potessimo fare un passo indietro e pensare per lo meno di migliorare il mercato del lavoro povero, che fa sì che chi ha poco viva in un contesto lavorativo dove per sopravvivere non deve voler chiedere di più. “Di fronte a tanta ferocia ci si trova spiazzati” scrive l’autrice nella conclusione, dove propone però diverse azioni programmatiche ben documentate per venire a capo di ciò che non funziona. Certo, nulla si può fare se chi fa le leggi non percepisce il lavoro povero come un’ingiustizia e un problema sociale.
Di seguito alcuni passaggi che mi sono segnata.
“Il furto quotidiano operato a danno dei lavoratori di oggi e domani è stato sostenuto dall’ideologia del merito, imposta per mascherare un’inevitabile conflitto fra chi sfrutta e chi è sfruttato”
“La flessibilità non è neutra: scarica il suo peso sulla parte più debole, il lavoratore, in balia del ricatto della disoccupazione”
“Attraverso la mercificazione del rapporto di lavoro portato all’estremo dal sistema di voucher disinnesca la capacità dei lavoratori, organizzati o meno, di incidere sulle scelte aziendali, sull’organizzazione del lavoro, ma anche in termini di investimenti, quindi di partecipazione allo sviluppo economico del paese” […] “quel che Marx definiva plusvalore: tutto il valore della produzione è in mano agli imprenditori”
“..dal momento che la remunerazione non è ancorata alla durata della prestazione, il rischio di speculazione al ribasso è intrinseco al sistema, lasciato in balia della generosità del committente”
“In termini marxiani la logistica rappresenta il momento della circolazione delle merci attraverso cui si determina la valorizzazione stessa del capitale”
“[riguardo alle agenzie interinali] è in questo processo che la mercificazione del lavoro trova piena espressione”
“Pare che non si possa fare a meno di questo lavoro gratuito per ottenere l’attestato di potenziale lavoratore”
“La retorica della produttività trascina con sé un abbaglio teorico cavalcato da politica e imprenditori, secondo cui la produttività è funzione quasi esclusiva del costo del lavoro, che deve essere ridotto per unità di prodotto”
“Il ricorso al welfare aziendale come forma di remunerazione ha a che fare con il ruolo dello stato e della sua funzione democratica del definire e soddisfare quei diritti che dovremmo considerare non già di cittadinanza, ma proprio universali”
“La controrivoluzione neoliberista aggredì anche il settore pubblico su tre livelli: primo, il privato deve sostituirsi al pubblico nella riduzione e distribuzione di beni e servizi, Secondo: lo Stato deve ridurre la tassazione sulle imprese e sui loro rendimenti. Terzo: lo Stato deve ridurre la spesa sociale così da stimolare i disoccupati a cercare e accettare un nuovo lavoro”
“Che la propensione per l’innovazione non sia correlata positivamente alla flessibilità del mercato del lavoro è dimostrato anche da altri recenti studi”
Incontro solo gente che parla bene di questo libro. Due considerazioni. La prima: mi sa proprio che dovrò leggerlo anch’io. La seconda: frequento “brutte persone”.