Cinesi in italia, è davvero integrazione?

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Cinesi in Italia, è davvero integrazione?

In questi giorni di elezioni a Milano si è parlato molto della comunità cinese e della sua copiosa partecipazione al voto cittadino, che sarebbe per molti, fra cui lo stesso Sala, il simbolo di un’integrazione che sta riuscendo. Ma elezioni a parte, possiamo parlare di vera e propria integrazione della comunità cinese nel nostro paese? Una risposta netta non c’è. Guardando i dati dell’ultimo Rapporto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, sembra che l’integrazione della comunità cinese proceda oggi a due velocità: una comunità di immigrati ancora piuttosto chiusa se consideriamo gli indicatori statistici e con tassi di emigrazione sempre più alti, e una seconda generazione che viene in Italia a studiare e che sembra puntare dritta all’integrazione proprio attraverso la scuola.

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Migrazione e salute, oltre i luoghi comuni

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Si pensa che i migranti portino nel paese d’arrivo malattie come la tubercolosi, insidiando la salute degli “autoctoni”. Ma è davvero così? Gli studi condotti dall’Istituto nazionale salute migrazioni provertà (INMP) smentiscono questo luogo comune. “Lo raccontano i dati recentemente pubblicati nel report OsservaSalute2014, e lo confermano anche i risultati delle attività sul campo che facciamo quando andiamo di persona a visitare i profughi che arrivano a Lampedusa o transitano nelle nostre città, la maggior parte dei quali soffre di malattie come la scabbia e non certo di tubercolosi o ebola” spiega l’epidemiologo dell’INMP Giovanni Baglio. “Nel 2014, secondo i dati raccolti nell’ambito del progetto Praesidium dalla Croce Rossa Italiana, sono sbarcate sulle nostre coste circa 170 mila persone, ma al 31 dicembre scorso le richieste di regolarizzazione sono state circa 63 mila. Questo significa che oltre 100 mila fra quelli che sono arrivati nel 2014 hanno attraversato il nostro Paese diretti altrove.”

VULNERABILI, NON UNTORI

A quanto pare le condizioni sanitarie di chi migra verso l’Europa peggiorano all’arrivo, per le condizioni difficili, talora estenuanti, in cui è avvenuto il viaggio, e le condizioni precarie della permamnenza (spesso in clandestinità) nella terra ospite. Chi decide di partire per un’avventura simile, spesso è in realtà più sano della media, e ha una speranza di vita maggiore della popolazione locale. Secondo i dati riportati dal Ministero della Salute infatti, negli ultimi 15 anni il numero di casi di tubercolosi è rimasto invariato, circa 4500 segnalazioni annue, con un aumento degli stranieri colpiti dovuto al maggior numero di arrivi.
Secondo i dati della sorveglianza sindromica effettuata tra maggio 2011 e giugno 2013 dall’Istituto superiore di sanità su oltre 5.000 persone ospitate presso centri di accoglienza, si sarebbero evidenziate solo 20 allerte statistiche: fra le quali, 8 infestazioni, 5 sindromi respiratorie febbrili, 6 gastroenteriti e 1 caso di sospetta tubercolosi polmonare. In ogni caso lo studio non ha messo in evidenza cluster epidemici, ad eccezione di 3 allarmi statistici rilevati nei mesi di novembre 2012, dicembre 2012 e giugno 2013 per la sindrome “infestazione” che altro non erano che focolai di scabbia.

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