La geografia delle risorse energetiche

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Negli ultimi 40 anni abbiamo fagocitato energia come mai l’umanità aveva osato fare nel corso della sua storia. Ne abbiamo prodotta e consumata più del doppio, generando quasi quattro volte l’energia elettrica del 1973 e producendo letteralmente il doppio delle emissioni di CO2. Lo raccontano i dati raccolti dall’International Energy Agency (IEA) nel dossier intitolato Key World Energy Statistics 2014.

Secondo IEA, dal 1973 a oggi il fabbisogno di energia globale è passato da 6106 Mtoe (Million Tonnes of Oil Equivalent, milioni di tonnellate equivalenti di petrolio) a 13371 Mtoe, mentre i consumi finali rispettivamente da 4672 Mtoe a 8979 Mtoe. Sono raddoppiate le produzioni di greggio, di carbone, di energia idroelettrica e di gas naturale, mentre l’energia nucleare è addirittura dieci volte quella del 1973. Inoltre l’energia elettrica prodotta è passata dai 6129 Twh di 40 anni fa ai 22668 Twh del 2012.

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Industria alimentare: le Big10 campioni per emissioni di CO2

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L’impronta delle prime dieci multinazionali del “food and beverage” supera quelle di Norvegia, Svezia e Finlandia messe insieme. La sfida è contenerle senza penalizzare la filiera

Emettono più CO2 le dieci multinazionali dell’industria alimentare rispetto a Norvegia, Svezia e Finlandia messe insieme. Questo in sintesi quello che emerge dal recente report redatto dall’Oxfam chiamato Standing on the sidelines, secondo cui se i dieci marchi più influenti del mercato del Food&Beverage si costituissero in un solo grande stato, sarebbero il 25mo paese al mondo per emissioni di gas serra.

Associated British Foods, Coca-Cola, Danone, General Mills, Kellogg’s, Mars, Mondelēz Internazionale, Nestlé, Pepsico e Unilever, emettono infatti, secondo i dati riportati da Oxfam, ogni anno una media di 263,7 milioni di tonnellate di GHG, un dato significativo se pensiamo che secondo dati ISPRA l’Italia intera si assesta intorno alle 460 milioni di tonnellate di CO2 equivalente.

Quello alimentare è un settore chiave per quanto riguarda le politiche climatiche del pianeta, e i cosiddetti Big10 con i loro 1,1 miliardi di dollari giornalieri di fatturato, hanno un peso significativo dal punto di vista del global warming e senza il loro contributo concreto gli obiettivi fissati dal Protocollo di Kyoto sono certamente più lontani. Secondo i dati Oxfam infatti, le emissioni di Co2 equivalente – che è stata fissata proprio dal Protocollo come “unità di misura” delle emissioni di GHG – il settore alimentare è responsabile di un quarto delle emissioni globali, e di questo 25% poco meno della metà è dovuto alla produzione agricola, un terzo circa al trattamento delle terre per uso agricolo e il quarto rimanente per l’energia che alimenta la catena del food system.

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