Valutare l’impatto dei rischi climatici sul sistema finanziario

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L’urgenza di stimare l’impatto dei rischi climatici sul sistema finanziario è sempre più riconosciuta tra gli studiosi e professionisti. Se da ogni parte – o quasi – si invocano con urgenza politiche orientate alla sostenibilità e resilienza, in grado di arrestare il riscaldamento globale e mitigare le conseguenze che già hanno iniziato a colpire il nostro pianeta, dall’altro lato non possiamo chiudere gli occhi davanti al fatto che la finanza globale ruota anche intorno a ciò che ha creato il problema climatico, come ad esempio i combustibili fossili, dove consapevolmente o meno investitori grandi e piccoli hanno investito il proprio denaro.
In questa direzione ha lavorato un gruppo di ricercatori dell’Università di Zurigo, che su
Nature Climate Change ha pubblicato la propria metodologia per testare come l’introduzione rapida di nuove politiche climatiche stresserebbe il mercato azionario globale. «Nel nostro studio abbiamo osservato che una grossa parte dei portafogli azionari degli investitori, in particolare per i fondi di investimento e per quelli pensionistici, riguarda settori che verrebbero toccati da cambiamenti nelle politiche climatiche» commenta Stefano Battiston, uno dei ricercatori che ha lavorato al progetto.
L’analisi si è basata sui dati delle partecipazioni di tutte le società quotate in Europa e negli USA, sui dati di bilancio delle prime 50 banche europee quotate e sulle esposizioni finanziarie nei diversi settori.
Il test ha permesso ai ricercatori di avanzare due previsioni: primo, che l’introduzione di politiche ambientali nuove dovrebbe avere piccole conseguenze sulle principali banche europee, ma un effetto più marcato sui fondi pensione. Inoltre, che politiche climatiche rapide e stabili non implicherebbero un rischio sistemico, cosa che invece accadrebbe con più facilità se le nuove misure venissero introdotte in modo incerto.

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Le estati future sulle Alpi

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Siamo ormai abituati a pensare che in un futuro purtroppo non molto lontano gli effetti del riscaldamento globale porteranno in Europa estati sempre più torride e precipitazioni più rade. Sebbene queste previsioni siano supportate da simulazioni con modelli climatici globali ed osservazioni empiriche che le validano su scala molto ampia, esse potrebbero non valere per le zone alpine. Le future estati potrebbero essere infatti tutt’altro che aride, bensì soggette a un significativo incremento delle precipitazioni, in particolare ad alte quote, e quindi anche di eventi estremi come gravi inondazioni.
A suggerirlo uno studio pubblicato nientemeno che su Nature Geoscience, da un team di ricercatori del Centro Internazionale di Fisica Teorica “Abdus Salam” (ICTP) di Trieste, che ha elaborato un modello a scala regionale che utilizza una risoluzione spaziale molto più dettagliata, permettendo agli scienziati di notare alcune differenze importanti che interesseranno la zona alpina. Risultati che sono stati finora confermati anche da osservazioni empiriche, confrontando le previsioni con i dati attuali delle precipitazioni di alcune aree alpine. Il modello ha preso in esame tre scenari: la situazione da qui al 2030, il periodo dal 2030 al 2070 e infine che cosa accadrà nell’ultimo trentennio del secolo.

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