In pochi mesi abbiamo messo più minorenni in carcere. Ma che cosa stiamo risolvendo? 

Due dati ci dicono chiaramente quale sia l’approccio del nostro governo alla criminalità giovanile: da quando è entrato in vigore il decreto Caivano a settembre 2023 ci sono più minori nelle carceri, anche se il numero di reati è il medesimo dell’anno precedente, e più ragazzi appena maggiorenni stanno “scontando” la misura cautelare nelle carceri per adulti. La crescita delle presenze negli ultimi 12 mesi è fatta quasi interamente di ragazze e ragazzi in misura cautelare. Le misure cautelari personali consistono in limitazioni della libertà personale; sono disposte da un giudice nella fase delle indagini preliminari o nella fase processuale.

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Stranieri, fra nuovi cittadini e nuovi permessi di soggiorno. Tutti i dati 

Una nota Istat pubblicata in quesi giorni stima che negli ultimi 10 anni 1,2 milioni di persone hanno acquisito la cittadinanza italiana. Nel complesso nel 2021 i nuovi cittadini per acquisizione residenti in Italia sono circa 1 milione e 600 mila per un totale di 6 milioni e 800 mila residenti in Italia con un’altra cittadinanza. Nel frattempo, tra il 2011 e il 2021, sono stati 516 mila i permessi di soggiorno per motivazioni connesse all’asilo, con un picco fra il 2016 e il 2017 quando rappresentavano oltre il 30 per cento dei nuovi rilasci. Al 1 gennaio 2021 si contavano nel complesso attivi 3,3 milioni di permessi di soggiorno di cittadini non comunitari, due terzi di questi lunga scadenza, 1 milione per cittadini africani, di cui 640 mila di lungo periodo e 1 milione di cittadini asiatici, con anche qui 640 mila permessi di lungo periodo.

L’analisi condotta da Istat ha seguito nel tempo, attraverso gli archivi dei permessi di soggiorno, i migranti arrivati in Italia nel 2007, nel 2012 e nel 2016, per ricostruirne i diversi percorsi di vita. Si considerano a tal proposito tre indicatori distinti: il numero di permessi di soggiorno in persone senza cittadinanza italiana, il numero di residenti senza cittadinanza italiana, e chi ha acquisito la cittadinanza italiana.

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Calo demografico: dispiace, ma prima le donne (e un’immigrazione inclusiva)

Nei giorni scorsi sulla prestigiosa rivista medica The Lancet è stato pubblicato un articolo scientifico importante: una stima realizzata dall’Institute for Health Metrics and Evaluation (IHME) presso la School of Medicine dell’Università di Washington, dei tassi di fertilità di 183 paesi del mondo, su 195. Uno scenario insomma di tutto rispetto, che se non vogliamo chiudere gli occhi, ci mette davanti al fatto di vivere da decenni su palafitte. Ci siamo illusi di aver costruito sopra uno stagno quieto, ma in realtà siamo soggetti all’andamento delle maree. 

Nel complesso, secondo le previsioni, 23 paesi vedranno ridursi le popolazioni di oltre il 50%, fra cui l’Italia, che passerà dai 61 milioni di abitanti del 2017 ai 31 milioni del 2100. Il Giappone da circa 128 milioni di persone passerà a 60 milioni nel 2100, la Thailandia da 71 a 35 milioni, la Spagna da 46 a 23 milioni, il Portogallo da 11 a 5 milioni. Si prevede che altri 34 paesi avranno un calo della popolazione dal 25 al 50%, inclusa la Cina, che da 1,4 miliardi di abitanti del 2017 arriverà ad “appena” 732 milioni nel 2100.

Stiamo andando incontro a un cambiamento epocale: le dinamiche alla base del calo della popolazione in età lavorativa significheranno importanti cambiamenti nelle dimensioni delle economie. 

Più istruzione per le donne = meno figli. E va bene così

L’aspetto più innovativo e significativo di questo studio è tuttavia un altro: la ricerca ha considerato quattro scenari possibili circa i tassi di fertilità, basando – finalmente – i propri calcoli su due fattori chiave: l’impatto dell’educazione delle donne e dell’accesso alla salute riproduttiva nei prossimi decenni. 

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Emergenza migranti? Come misurare l’impatto su mercato del lavoro e inclusione sociale

Sono 7.476 le persone a bordo di imbarcazioni oggetto di crisi in mare da giugno 2018 a oggi, che dopo giorni di stallo, sono entrate in Europa. 5125 sono state ricollocate in Italia. Li ha contati Matteo Villa, ricercatore presso l’Ispi, in un documento disponibile qui. Nel complesso, dal 1° gennaio 2018 al 3 luglio 2020 sono sbarcate in Italia 26.793 persone, 7.314 quest’anno. Come se in tre anni avessimo popolato un piccolo borgo di provincia. Il tema è capire se questi numeri sono un problema sociale oppure solo politico.

Il 5 luglio si sono tenuti a Roma, in piazza San Giovanni, gli Stati Popolari, un momento di incontro pubblico portato avanti da Aboubakar Soumahoro sindacalista dell’USB (Unione Sindacale di Base). Obiettivo: dare voce agli invisibili che vivono in Italia, italiani e stranieri, ai lavoratori i cui rappresentanti non sono stati invitati al gran tavolo degli Stati Generali. Fra le proposte del loro “manifesto” ce ne è una in particolare, che recita: “Riforma delle politiche migratorie, in rottura con la cultura della razzializzazione, perché i processi migratori sono processi sociali. Quindi la competenza è del ministero delle Politiche Sociali e nQuanto è fragile il nostro sistema sociale

È un aspetto tutt’altro che banale nella riconsiderazione della fragilità sociale del sistema paese, che intende ripartire dall’idea che la fragilità sociale, seppur nelle sue segmentazioni (per sesso, etnia, età, status socio-economico) è comunque un fenomeno trasversale, e che equità sociale significa dare a tutti le medesime opportunità di partenza, che può significare investire (non spendere) più risorse verso chi è più indietro.

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