Un altro Rumiz.
(“Viandanza”, Luigi Nacci, Laterza 2016)
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Prenderai la borraccia, ti butterai l’acqua in testa, farai di tutto per toglierti quella sostanza vischiosa di dosso. Ma la resina non se ne andrà.
Più vivo di così non sarai mai, te lo prometto.
Per la prima volta vedrai i pori schiudersi
come musi di pesce e potrai ascoltare
il mormorio del sangue nelle gallerie
e sentire la luce scivolarti sulle cornee
come lo strascico di un abito; per la prima volta
avvertirai la gravità pungerti
come una spina nel calcagno
e per l’imperativo delle ali avrai male alle scapole.
Ti prometto di renderti talmente vivo che
la polvere ti assorderà cadendo sopra i mobili,
che le sopracciglie diventeranno due ferite fresche
e ti parrà che i tuoi ricordi inizino
con la creazione del mondo.
Nina Cassian
Non indagare, saperlo è vietato, quale fine ad entrambi abbiano dato gli dei, o Leoconoe, e non tentare neppure i calcoli di Babilonia: quanto meglio accettare ciò che sarà! Ci abbia Giove assegnato altri inverni o sia l’ultimo questo che fa ora spumare il Tirreno sugli scogli a lui posti davanti sii savia: filtra vini e in uno spazio così breve di vita tronca lunghe speranze. Parliamo e sarà intanto fuggito l’invido tempo. Carpe diem, del domani fidandoti meno che puoi.
era speranza di chi non ha nulla da perdere e, grazie a quella sua condizione, è già altre all’ostacolo.
bramavi ardentemente esattezza.
Eri un uomo in rivolta, colui che è in grado di affermare, come dice Camus, si e no allo stesso tempo. stabilire una linea di demarcazione, un confine che non si è disposti a superare, a dire sì a tutto ciò che sta prima di esso.
Lì sulla strada avevi capito. L’Urlo nero di Quasimodo, l’odore di fragole rosse di Pascoli, o le dodici acque di Petrarca.
Non mi devo chiedere a che punto sono della mia vita, ma di che colore è quel punto. Oggi sapresti rispondere?
Come mai questo improvviso essere a casa mezzo dentro e mezzo fuori? Paul Celan
Lentamente hai piegato il busto in avanti, hai reclinato il capo, gli avambracci si sono sollevati, le mani si sono aperte, i palmi hanno coperto il viso. Sei diventato come quel vecchio dipinto di van Gogh “l’anziano nel dispiacere sulla soglia dell’eternità”.
Una grande idea si compie solo a metà nella una illuminata della mente, per l’altra negli oscuri recessi del nostro essere interiore, ed essa è soprattutto uno stato d’animo alla cui estremità il pensiero sboccia come un fiore.
Se prima [nella malinconia] l’attenzione era rivolta al luogo dell’infanzia a cui fare ritorno per guarire, oggi va al luogo in cui ci si è trasferiti e all’incapacità di integrarsi in esso. L’antico malato di nostalgia oggi è un individuo affetto da reazione depressiva da disadattamento sociale.
La speranza, dice Marcel, è la memoria del futuro
La volevi possedere o volevi goderne? «è legge della vita che si gode solamente ciò in cui ci si abbandona» dice Pavese.
E a qualsiasi casa torniamo arriviamo a notte troppo tarda per essere riconosciuti. E in qualsiasi fiume ci specchiamo vediamo noi stessi solo dopo aver voltato le spalle. Henrik Nordbrandt, dovunque andiamo.
Come quel mendicante che aveva messo in imbarazzo te, tu mettevi in imbarazzo gli altri. Li costringevi a riflettere sulle loro vite. Eri né più né meno di un venditore di accendini al semaforo. Di un lavavetri.
Dovevi scegliere, e dovevi farlo con Leopardi: essere colui che combatte le illusioni perché è un illuso, o colui che la ama e le predica proprio perché non è un illuso. “Quante grandi illusioni concepite in un momento, in un entusiasmo, o in disperazione o insomma di esalamento, sono in effetti le più reali e sublimi verità, o precursore di queste” scrive Leopardi nello Zibaldone.
È nella solitudine che si piò divenire sognatori diurni, che si possono plasmare le visioni di cambiamento che riguardano tutti.
Così agiscono le persone che ci amano. Non si oppongono, non erigono muri, si adoperano per divaricare a mani nude, per quanto possano, le crepe che abbiamo già creato noi.
Pane permanente, speranza compiuta, dovere svolto. Neruda, Ode all’allegria
E tu? Quale scopo ti prefiggevi nel tuo lavoro e nella tua vita? Era uno scopo che riguardava solo te o la collettività? Come reagivi alle intimidazioni dei potenti?
Così ho lodato l’allegria, perché non c’è nulla di meglio per l’uomo sotto il sole che mangiare, bere e stare allegro, perché questo rimane con lui nella sua fatica. Ecclesiaste 8,15
Quando qualcuno era lì lì per sopraffarvi con la sua rabbia, voi prendevate la rabbia con cautela, la trasportavate in un posto sicuro e solo allora, dopo averle tolto la sicura come si fa con una granata, la facevate brillare.
Sul mio comodino c’era un libro di Emil Cioran “Al culmine della disperazione”, nel quale sostiene che in alcuni momenti cruciali, come nella sofferenza e nell’amore, diventiamo lirici, cioè esseri in grado di toccare il fondo originario dell’esistenza, di provare un sentimento che mette in moto tutte le nostre risorse, una vertigine inaudita.
Davvero sappiamo vivere solo dopo la sconfitta,
le amicizie si fanno più profonde,
l’amore solleva attento il capo.
Perfino le cose diventano pure.
I rondoni danzano nell’aria,
a loro agio nell’abisso.
Tremano le foglie dei pioppi,
solo il vento è immoto.
Le sagome cupe dei nemici si stagliano
sullo sfondo chiaro della speranza. Cresce
il coraggio. Loro, diciamo parlando di loro, noi, di noi,
tu, di me. Il tè amaro ha il sapore
di profezie bibliche. Purché
non ci sorprenda la vittoria.
ADAM ZAGAJEWSKI
Si possono giudicare i fatti, perché sono conclusi. Ma non gli eventi.
Sorridere e godere du quel che abbiamo, sapendo che non siamo altro che creature di passaggio.