Se un uomo non lavora, o lavora part time pur essendo abile a un lavoro a tempo pieno, è uno scansafatiche; se lo fa una donna, anche senza figli ma magari sposata, rientra in ciò che ci si aspetta.
L’8 marzo si celebra, fra le altre cose, l’importanza di impegnarsi come politica e come società civile per assottigliare sempre di più il divario fra occupazione maschile e femminile e di reddito da lavoro fra i generi. In Italia le donne partecipano ancora molto meno al mondo del lavoro degli uomini. Tradotto, significa che le donne che non lavorano non possono contribuire con il loro salario né al proprio mantenimento né a quello dei figli, né a quello dello Stato attraverso le imposte. Ma significa anche che non possono godere di una malattia, né di una pensione, se un marito o un altro familiare che ne ha la possibilità non provvede con fondi pensione o pacchetti simili.
Non ci si pensa mai alle conseguenze possibili di queste scelte, finché le donne che le hanno vissute non le raccontano: se dipendi economicamente da qualcuno, ne dipendi completamente. Hai molte meno possibilità di fare delle scelte, anche quelle che magari non faresti ugualmente, perché nei casi di violenza non basta volerlo: serve sentirsi supportate da una rete. Forse non tutti sanno, ad esempio, che è possibile presenziare ai processi per violenza, stalking e via dicendo, dove la donna deve prendere coraggio e parlare di fronte a un avvocato che è lì appositamente per dimostrare che mente. Nella maggior parte dei casi le aule sono deserte.