Sono passati quasi due anni dall’arrivo dei primi vaccini contro SARS-CoV-2 ed è maturato il tempo per avere dati abbastanza solidi per considerazioni puntuali sul reale impatto delle vaccinazioni sul rischio cardiovascolare in termini di eventi tromboembolici venosi e piastrinopenia. A fine novembre 2022 “Nature Communications”, una delle riviste più quotate al mondo, ha pubblicato un lavoro enorme, il più ampio mai uscito finora su questo argomento, che ha esaminato un totale di 5,6 milioni di vaccinati (3,7 milioni di persone con Vaxzevria di Astrazeneca e 1,8 milioni con Comirnaty di Pfizer) nel Regno Unito, indagando l’incidenza di trombosi, piastrinopenia e trombosi con piastrinopenia, a confronto con i dati di 400.000 ulteriori persone che sono state contagiate con il virus e che non erano precedentemente vaccinate. I dati di confronto sulla popolazione generale provengono da coorti di popolazioni esaminate per quei parametri prima della pandemia, in altri studi, per un totale di 9,4 milioni di persone.
Risultato: il rischio relativo per eventi tromboembolici era di sette volte maggiore fra i pazienti infettati con SARS-CoV-2 rispetto alla popolazione generale, mentre per l’embolia polmonare il rischio saliva addirittura a oltre 12 volte in questi pazienti. Per contro, la possibilità di un evento avverso di questo tipo era di 1,12 volte fra i vaccinati rispetto alla popolazione generale pre-pandemia. In altre parole: pur considerando che a maggio 2021 la vaccinazione con Vaxzevria causava un evento tromboembolico grave associato a piastrinopenia in un caso ogni oltre 106.000 dosi somministrate, il rischio portato dal virus è stato molto maggiore.