Di questi tempi l’aria si è fatta decisamente irrespirabile. Mi riferisco all’aggressività che vedo sui social media, acuitasi in questi ultimissimi mesi di campagna vaccinale e soprattutto di Green pass da una parte o dall’altra (o dall’altra ancora). In quasi dieci anni di vita passati anche sui social media, personalmente non ho mai respirato tanta violenza allo stato brado rivolta a tutti, ovunque. Quasi non vi è un commento che non sia aggressivo, in qualche modo violento, anche laddove non lo è propriamente il contenuto.

Sono balzate alla cronaca di recente le chat Telegram dove orde (davvero, le chat le ho lette personalmente) di persone ne aizzavano altre affinché chiunque fosse in possesso di numeri di telefono, indirizzi di abitazioni, di giornalisti, politici, medici, influencers, li condividesse nel gruppo, per organizzare pedinamenti, bombardamenti di telefonate con insulti, “ronde” per fare paura a queste persone sotto casa. Alcune di queste persone sono state denunciate, a quanto leggo dai giornali e si sta indagando per capire chi ci possa essere dietro queste chat, a mettere carbone sul fuoco. Dal punto di vista operativo, la “rivoluzione” presso le stazioni ferroviarie annunciata da qualche profilo (blocco dei treni, ecc) si è rivelata un flop. Non c’era nessuno, segno che come ha scritto qualcuno “i leoni da tastiera fanno rivoluzioni da tastiera”. Quindi, a posto così?
Personalmente trovo questa violenza online non meno reale, e non meno preoccupante, e non solo perché qualcuno come il dottor Matteo Bassetti si è trovato effettivamente minacciato per strada sotto casa sua. Ma perché l’aggressività così diffusa non è mai un buon segno per la comunità. Anche un’aggressività che si esprime ancora in tante piccole gocce, non necessariamente organizzate in un’onda coordinata, non va sottovalutata.
Credo che si facciano due errori di valutazione: il primo è pensare che si tratti di “no vax”. A me pare, dai profili che mi prendo il tempo di guardare, che si tratti di no-x, no qualsiasi cosa che sia istituzione/politica. Come è sempre stato e oso dire: anche indipendentemente dalla parte politica. Sarò curiosa di leggere eventuali analisi scientifiche in merito, ma mi limito a dire che nella mia esigua quotidianità di violenti online, vedo profili di persone molto diverse, sia come livello di istruzione, che come sentimento politico (se esistono ancora i sentimenti politici). Quello che accomuna questa aggressività è il bisogno di urlare quanto l’istituzione e la politica facciano schifo. Urlarlo da un palcoscenico, e non a caso non vedo su Instagram la stessa quantità di aggressività che c’è su Facebook, su Twitter, su Telegram, laddove si commenta con il branco, per il branco. In molti casi si aizzano i followers contro un bersaglio, magari non molto grande, come un giornalista non mainstream.
C’è chi parla di squadrismo, e secondo me è un termine azzeccato, anche se credo sia bene slegarlo dal suo significato storico, in primo luogo perché mi sembra che ci sia molta confusione su che cosa sia stato il Fascismo come movimento e partito storicamente collocato, e su che cosa sia il fascismo come concetto. In un convegno possiamo decidere che cosa intendiamo quando usiamo un certo termine, e quindi discutere “ad armi pari”, un po’ come quando nella comunità scientifica i ricercatori parlano di “rischio” sapendo benissimo a che cosa si stanno riferendo. Ma lì fuori è pericoloso. C’è un librettino di Umberto Eco intitolato Il fascismo eterno (edito da La Nave di Teseo), che estrapola una definizione di Ur-fascismo, che tuttavia non è patrimonio comune (e non dico né sia un bene né sia un male, intendiamoci). Semplicemente penso oggi quello che pensavo all’università quando studiavo filosofia analitica: non ci sono concetti davvero condivisi da tutti, a tutti i livelli e contesti. Le persone colgono parole, ma da qui a cogliere lo stesso concetto, ce ne passa. (E dopo questa sintesi malandata Wittgenstein mi sta guardando sicuramente male).
L’esempio per me più lampante di questo aspetto è il concetto di Pace. L’idea comune fra chi studia la comunicazione oggi, specie sui social media, è di non alimentare le polarizzazioni, le fazioni, l’aggressività. E non posso che essere d’accordo. Se mai ho dialogato con qualcuno con idee diverse dalle mie, e l’ho fatto, anche con amiche no vax, è stato grazie alla gentilezza che ci siamo rivolte e che ci ha permesso di capirci. E non serve essere Buddha.
Ma portare pace significa essere pacifisti? Sono termini sinonimi? Porto sempre con me una considerazione che sentii anni fa, se non ricordo male dello storico Franco Cardini a proposito di Francesco d’Assisi (io la sentii a un concerto di Branduardi). Diceva: Francesco era un uomo di pace, ma non era un pacifista, che sono due cose diverse. Sono effettivamente categorie diverse, anche senza cadere nell’adagio antico che lì deve rimanere Si vis pacem para bellum. Noi 800 anni dopo, che viviamo sui social non meno realmente, che categorie possiamo usare per agire il mondo? Chiaro che l’inferenza antica è una forzatura; non serve farsi la guerra, appunto. Tuttavia, per cercare di portare la pace nel dibattito, nello scontro, per abbassare il livello di aggressività circolante è necessario opporsi con fermezza all’eccesso di aggressività, anche a costo di essere a tratti propriamente divisivi. Denunciare alla polizia postale, segnalare l’incitamento alla violenza, e soprattutto parlarne, parlarne, parlarne. Credo sia un errore derubricare tanto odio in forme di “Presenza” infantile, come se le tante persone che vomitano astio e violenza dalle loro tastiere fossero bambini inconsapevoli che noi guardiamo dall’alto del nostro studio clinico con un sorriso. Eppure, leggo spesso riflessioni di questo tipo: ma sì, sono degli sciocchi, non sono in grado di far nulla…ci sono sempre dei minus habentes nella società umana, tolleriamoli con un sorriso e non consideriamoli come nemici.” Non sono pochi, nella realtà online, e anche nella realtà offline, al di là della capacità di assaltare stazioni ferroviarie.
Ovviamente ho buttato lì concetti che meriterebbero ben altro spazio, e una ben altra analista.
Ma trovo sia un aspetto davvero importante su cui riflettere. Per me, nel mio piccolo, questa aggressività sempre più sdoganata a tutti i livelli è un pericoloso segno dei tempi.