Questa pandemia sta senza dubbio portando in prima pagina il dibattito sulla de-urbanizzazione. L’opportunità di riabitare le province, i paesi (parola più onesta di “borghi”, termine turistico per eccellenza) investendo finalmente in banda larga, nella pianificazione dello smartworking che non sia semplicemente telelavoro, ma reale empowerment del lavoratore. Parallelamente a questi aspetti è necessario investire per far sì che vivere in provincia sia un’opportunità anche per chi desidera fare carriera. Ma non si può fare se non sappiamo esattamente su quali risorse le periferie d’Italia, quelle svuotatasi negli ultimi decenni, possono contare.
Ebbene, nel 2018 tutte le province italiane, tranne sei (Bolzano, Isernia, Vibo Valentia, Gorizia, Aosta e Imperia), hanno visto per esempio donne laureate in ingegneria. E soprattutto, il sud non è da meno rispetto al nord, se consideriamo le province di residenza. 3.674 neolaureate in ingegneria su 9.525 (molte laureate non hanno indicato la provincia di residenza) vengono dal sud, 4.074 dalle province settentrionali, e 1.777 dalle 4 regioni centrali. Napoli è la seconda città dopo Roma per numero di neoingegnere (triennali e magistrali), staccando Milano di oltre 300 unità e presentando un numero di laureate doppio rispetto al Torino. Seguono Bari e Salerno. Fra le prime 20 province italiane per numero di neolaureate in ingegneria, 8 risiedono al sud.
Ma quante di queste ragazze rimarranno al Sud, o comunque nella propria provincia, per lavorare e vivere?
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