Detta così sembra semplice. Si tratta di principi altamente condivisibili. Altra cosa però è tradurre questi principi in giustizia sociale, all’atto pratico: dipende da quali indicatori decidiamo di considerare e da come misuriamo il vantaggio.
Gli autori propongono nell’articolo sei raccomandazioni pratiche, che vorrebbero essere specifiche per l’allocazione delle risorse mediche nella pandemia di Covid-19. I sei consigli sono: scegliere ciò che massimizza i benefici; dare la priorità agli operatori sanitari; non assegnare in base al principio “primo arrivato, primo servito”; focalizzarsi sulle evidenze scientifiche; riconoscere la partecipazione alla ricerca; e applicare gli stessi principi a tutti i pazienti COVID-19 e non-COVID-19.
Si tratta comunque di raccomandazioni ancora generiche. Già nel 2009,the Lancet aveva provato a tradurre i macro valori etici in in pratiche di vita reale, basandosi sull’idea che ogni sistema sanitario è diverso, ognuno ha i propri punti di forza e i propri punti critici, che offrono una visione dei fattori fisiologici e sociali che andrebbero considerati quando si dà la priorità alle cure.
Il problema è che ognuna delle sei raccomandazioni – tutte sensate – vive intrinseche aporie, che aprono a diverse possibilità interpretative. Vediamo comunque le raccomandazioni del NEJM una per una.
“Prima il più malato”
Un approccio prioritario tratta prima i più malati. Nelle cure di emergenza, ad esempio, un paziente affetto da infarto “sorpassa” un paziente con un braccio rotto. È la logica a ci assistiamo in Italia nella gestione del Triage al Pronto Soccorso: il codice giallo passa avanti al verde, il rosso al giallo, e via dicendo.
In emergenza però questo approccio presuppone che i vincoli delle risorse siano temporanei e che presto saranno disponibili risorse aggiuntive per il trattamento di altri pazienti.
Il punto è durante un periodo di scarsità prolungata, come l’attuale pandemia di COVID-19, questo approccio non considera l’elemento tempo: il trattamento di un paziente gravemente malato per un lungo periodo di tempo è più “efficiente” rispetto al trattamento rapido di diversi pazienti meno malati?