Da qualche anno si fa un gran parlare di Fake News e di come combatterle. Il modus operandi segue la logica dei videogiochi: c’è un nemico da sconfiggere (le Fake News, che forse sarebbe meglio scrivere usando le lettere minuscole, quindi fake news), ci sono i cattivi (chi le produce), ci sono i buoni, i paladini che devono non tanto impedire che le notizie false si creino, ma piuttosto evitare che persone inconsapevoli della loro falsità le diffondano, salvando così la Democrazia. Come? Beh, è qui che il gioco si fa difficile. Lo sottolineava ValigiaBlu in un lungo articolato approfondimento del 23 novembre scorso dal titolo “La disinformazione è una bestia dai mille volti: impariamo a riconoscerla” dove questa posizione è espressa molto chiaramente: “Leggi anti fake news sono state proposte nei regimi autoritari per sopprimere il dissenso; i disegni di legge ‘contro l’anonimato’, nati nel migliore dei casi dalla scarsa preparazione di chi presenta tali proposte; e la propaganda continua, incessante, su una non meglio specificata emergenza ‘fake news’, un termine vuoto e inappropriato che è stato di volta in volta utilizzato contro i social network, contro i giornalisti e i media scomodi, contro politici avversari, contro uno Stato, contro i cittadini.”
La situazione si complica quando ci rendiamo conto che forse dovremmo partire mettendo in discussione l’esistenza stessa delle fake news. E se fossero esse stesse un Mito, un nemico che noi stessi abbiamo creato a posteriori per darci una chiave interpretativa di un caos informativo che non sappiamo gestire? È l’opinione, basata sui dati, di Walter Quattrociocchi dell’Università Ca’ Foscari di Venezia.
Un lavoro appena postato su ArXiv (che quindi attende la pubblicazione su una rivista scientifica) a firma di Quattrociocchi con Matteo Cinelli del CNR di Roma, Stefano Cresci del CNR di Pisa e Alessandro Galeazzi dell’Università di Brescia, ha analizzato il flusso di informazioni su Twitter durante l’ultima campagna elettorale per le Elezioni Europee analizzando le interazioni fra le fonti di notizie ufficiali, le fonti di notizie false, gli account di politici, di persone dello spettacolo, di giornalisti, nei due mesi precedenti le elezioni. Un campione complessivo di quasi 400.000 tweet pubblicati da 863 account, sfruttando anche le informazioni geolocalizzate. Risultato: le fake news ci sono, ma influenzano il dibattito in misura minore rispetto alle notizie verificate, provenienti dai grandi media (giornali, TV). “I conti mostrano la tendenza a limitare la loro interazione [delle fake news] all’interno della stessa classe e il dibattito raramente attraversa i confini nazionali, ovvero gli account tendono a interagire principalmente con altri provenienti dalla stessa nazione. Inoltre, non troviamo alcuna prova di una rete organizzata di interazioni volta a diffondere disinformazione” racconta a eColloquia Walter Quattrociocchi. Al contrario i punti di disinformazione sono in gran parte ignorati dagli altri attori e quindi svolgono un ruolo periferico nelle discussioni politiche online.