“Il punto di partenza principale per una riflessione sul futuro del lavoro è riuscire a fare in modo che sempre meno persone lavorino tanto per guadagnare troppo poco rispetto al costo della vita. Il problema dei cosiddetti working poors oggi è enorme, e non ce ne accorgiamo, perché siamo concentrati sul contare il numero di lavoratori, e quando appuriamo che il numero è in crescita ci basta per parlare di progresso”. È molto chiaro Francesco Seghezzi, Presidente di Fondazione ADAPT e assegnista di ricerca presso l’Università di Modena e Reggio Emilia, autore di una lunga analisi sul futuro del lavoro pubblicata da ISPI (Italian Insitute for International Political Studies).
In Italia il 12% dei lavoratori è a rischio povertà: una persona su sette (la media europea è del 9,4%). Siamo abituati a pensare al binomio full-time/part-time, come se “scegliere” (il più delle volte non è una scelta, come raccontavamo qui quest’ultima opzione significasse lavorare il 50% rispetto a chi lavora full time. Ci dimentichiamo che esistono contratti che prevedono un impegno del 20% delle ore di un full time, e talvolta addirittura del 10%.