VITE PAZIENTI – È Francesca, mamma di Chiara, a raccontarmi dell’Asperger. Parlando con lei ho capito quanto una parola possa essere sbagliata, anche dannosa. Asperger non è una sindrome, non è una malattia. È una condizione, una sagoma che emerge dal foglio bianco quando ti rendi conto che i punti che hai sempre evidenziato come “stranezze” in realtà sono connessi fra di loro. Che, se proprio vogliamo, è possibile trovare una definizione comune a persone con un determinato vissuto, dovuto a una percezione del mondo e di sé poco frequente. Subito da Francesca ho una viva sensazione di positività rispetto a quest’etichetta.
Prima di questa chiacchierata non avevo idea che ci fossero diverse persone – alcune anche note al grande pubblico – che insospettabilmente per noi, sono in realtà “fratelli e sorelle Asperger”. Un esempio su tutti è la scrittrice Susanna Tamaro, che ne ha parlato da poco nel suo libro Il tuo sguardo illumina il mondo (2018). Anche Luca Pani, ex direttore dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha dichiarato di essere un Asperger.
La frase che mi colpisce di più di Francesca riguarda un aspetto ricorrente della vita di Chiara, sua figlia oggi adolescente: la necessità di lasciarsi periodicamente alle spalle il passato e cominciare un nuovo ciclo. Altrove, con persone diverse, senza il bagaglio di frustrazioni e rancori per ciò che non ha funzionato. Costruire nuovi rapporti per un Asperger è faticoso, per Chiara è ogni volta un’operazione da progettare con cura, senza lasciare nulla all’improvvisazione. Il trucco è riuscire a fare parte di un gruppo restando un po’ defilati. Usa questa espressione Chiara per raccontare quello che intende: ricominciare sotto copertura. Fare in modo che il suo universo interiore, che lei riconosce esistere, non venga colto dagli altri.