Solo due regioni italiane, Piemonte e Basilicata, hanno ridotto il numero di parti cesarei negli ultimi vent’anni. Il Piemonte in particolare nel 1998 era la prima regione italiana per percentuale di cesarei sul totale dei parti, con il 50% di interventi. Nelle restanti regioni italiane non solo il numero di cesarei sul totale è aumentato, ma è ben oltre i livelli consigliati dalle autorità competenti. Lo racconta l’ampio rapporto OASI 2018 redatto da Bocconi e CERGAS e pubblicato in questi giorni.
La percentuale di parti cesarei sul totale dei parti costituisce un indicatore utilizzato dal Comitato ministeriale dei Livelli Essenziali di Assistenza per il monitoraggio dell’efficienza e appropriatezza dei LEA. La percentuale a livello regionale è valutata soddisfacente dal Comitato LEA se corrisponde a un valore inferiore al 30% dei parti totali.L’Organizzazione Mondiale della Sanità è ancora più severa. Già nel 1985 fissava una soglia massima di 15 parti cesarei su 100 per periodo. Oggi solo alcune regioni rientrano negli standard ministeriali con meno di un terzo dei parti che si svolge tramite il cesareo e nessuna soddisfa le ambiziose soglie dell’OMS. In particolare tutte le regioni del Nord, ad eccezione della Liguria, rispettano l’indicazione ministeriale, mentre il centro sud, tranne Toscana e Umbria, non rispetta la soglia fissata da ministero. In Campania addirittura sei donne su dieci che hanno partorito nel 2016 hanno vissuto il cesareo, in Sicilia quattro su dieci.