APPROFONDIMENTO – Sulla salute riproduttiva delle donne e in particolare su come gestire l’aborto ci sono ancora oggi due Italie. C’è un’Italia che parla delle donne e alle donne, cercando di portare la discussione oltre la Legge 194, per garantire non solo la possibilità di aborto, ma un aborto sicuro per tutte; e c’è un’Italia che parla sulle donne, stabilendo quali siano i doveri del corpo della Donna per lo Stato. L’ultimo esempio viene da Verona, dove nei giorni scorsi è stata approvata da parte del consiglio comunale una mozione della Lega Nord, ma sottoscritta anche da esponenti del Partito Democratico, che dà il via libera al finanziamento pubblico ad associazioni cattoliche che portano avanti iniziative contro le interruzioni volontarie di gravidanza.
A Roma negli stessi giorni c’era l’altra Italia, che oltre al pane si spinge a chiedere anche le rose. Il 28 settembre, nella Giornata internazionale per l’aborto libero e sicuro, la Rete Nazionale Molto+di194 ha organizzato alla Camera dei Deputati la conferenza “Non tornare indietro: molto più di 194!” (il video è disponibile qui), che chiede a gran voce una presa di posizione netta da parte delle Istituzioni Sanitarie Nazionali su aborto e contraccezione gratuita. Il Ministero però stando a quanto si apprende è stato in silenzio, sia riguardo alle oltre 63.000 firme raccolte dal Comitato per la Contraccezione Gratuita e Responsabile tra dicembre e febbraio scorsi, sia sulla richiesta di interlocuzione formulata dalla Rete sulla possibilità di deospedalizzare l’aborto farmacologico e di estendere il limite del ricorso a 63 giorni, come prescrive l’Agenzia Europea del Farmaco (EMA), contro i 49 giorni fissato dalle linee guida nazionali. L’aspetto paradossale è infatti che nel bugiardino del farmaco approvato da AIFA sono indicati 63 giorni di riferimento, e non 49.