Dare una vita normale a un figlio con paralisi cerebrale

VITE PAZIENTI – Uno dei giochi preferiti di Mario, sette anni, è riprodurre lo scenario ospedaliero. Fa sfrecciare le ambulanze e il più delle volte è lui il dottore che salva i bambini. “Penso sia un modo tipico per elaborare il proprio vissuto quando hai visto molte corsie d’ospedale e sei è abituato alle sale d’aspetto degli ambulatori” mi racconta Francesca. Per Mario anche le attività riabilitative, cioè la fisioterapia che fa per quattro ore a settimana, sono associate ad adulti in camice bianco.

Quando Mario aveva 10 giorni di vita, Francesca Fedeli e il marito Roberto D’Angelo hanno scoperto per caso che aveva avuto un ictus. Forse durante le ultime fasi della gravidanza, forse durante il parto, ma poco importa. L’evento ha toccato l’emisfero destro del cervello, compromettendo la capacità di movimento della parte sinistra del corpo.

Mario e la sua famiglia son stati relativamente fortunati, perché un ictus perinatale può avere conseguenze molto peggiori. Oggi Mario vive due dimensioni: da una parte fa una vita il più normale possibile: va a scuola, cammina anche se con qualche difficoltà, gioca, ama nuotare, ha una rete di amici. Dall’altra gestisce il suo rapporto quotidiano con la riabilitazione, per recuperare piano piano sempre un po’ più di mobilità, e sta imparando a convivere con l’epilessia.

Ho appena iniziato a parlare con Francesca e già percepisco chiaramente che quella che è oggi la vita di Mario è frutto di una battaglia incessante e collettiva dei suoi genitori, per veder riconosciuto il diritto del proprio figlio di ricevere la riabilitazione più adatta a lui. Per non arrendersi al fatto che – come spesso questi genitori si sentono dire – “non c’è molto da fare dopo un ictus, l’obiettivo finale della riabilitazione è che il bambino arrivi a camminare”.

Mentre mi parla, scorro le foto degli eventi ai quali Francesca ha participato per raccontare la storia di Mario, e in lei vedo una somiglianza feroce con lo sguardo di Frida Kahlo. Forse per quei capelli scuri, per la forma degli occhi. O forse solo perché proietto ciò che sento su un volto. No, mi dice forte Francesca, l’importante non è solo camminare. C’è molto altro che possiamo fare per riabilitare questi bambini.

“Ora mi arrabbio molto quando sento queste frasi, che purtroppo sono molto comuni specie nelle strutture pubbliche, che sono il segnale da una parte di una mancanza di posti e dall’altra della scarsissima ricerca scientifica che si fa in merito. Di fatto la fisioterapia rivolta a bambini con paralisi cerebrale infantile non di prassi è basata su solide evidenze scientifiche, ma vengono sostanzialmente proposte le stesse attività che si propongono in altre situazioni dove non c’è stato di mezzo un ictus. E soprattutto non vengono raccolti quasi mai dei dati sull’efficacia della terapia: su questo siamo nel Medioevo”.

Continua su Oggiscienza

Pubblicità

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...