Sarebbero 3,7 miliardi le entrate annuali che i governi di 9 paesi ricchi avrebbero dovuto ricevere nel triennio 2013-2015 come imposte sui guadagni di quattro grandi imprese farmaceutiche – Abbott, J&J, Merck & Co e Pfizer – ma che non hanno incassato, a fronte di 5 miliardi di tasse incamerate. All’erario italiano solo contando questi quattro gruppi farmaceutici mancherebbero all’appello 267 milioni di dollari su base annua: 14 milioni da Abbott, 94 milioni da J&J, 25 milioni da Merck & Co e 113 milioni da Pfizer.
Le presunte entrate mancanti nelle casse dei paesi in via di sviluppo sarebbero invece pari a 112 milioni di dollari annui (di cui 73 milioni solo in India), cifra che equivale a quanto queste ultime potrebbero spendere per vaccinare 10 milioni di ragazze contro il virus dell’HPV, il papilloma virus, l’infezione che può portare al cancro alla cervice uterina.
La prima cosa da dire – precisata anche all’interno dello stesso rapporto di Oxfam da cui sono tratti questi dati – è che, pur in assenza di un panorama completo, emergono forti disallineamenti fra i margini di utile globale, dichiarato nei bilanci consolidati dalle quattro big del mondo farmaceutico e il loro livello di profitto prima delle imposte registrato in alcuni paesi in cui operano tramite proprie sussidiarie. In sostanza in alcuni stati – Belgio, Irlanda, Paesi Bassi e Singapore – noti per regimi fiscali più favorevoli per i redditi d’impresa, i quattro grandi colossi farmaceutici hanno registrato, in proporzione al fatturato, utili lordi enormi rispetto a quelli messi a bilancio in altre economie avanzate, Italia compresa, nei mercati emergenti e in alcuni paesi in via di sviluppo.
condotte su 359 sussidiarie di questi 4 gruppi farmaceutici in 19 paesi, per ogni dollaro fatturato l’utile lordo sarebbe di 0,07 e di 0,05 dollari rispettivamente nei paesi ricchi (Italia inclusa) e in quelli in via di sviluppo. Al contrario, in Belgio, Irlanda, Paesi Bassi e Singapore, per ogni dollaro fatturato l’imponibile sarebbe al 31%, cioè di 0,31 centesimi. La discrepanza è evidente, specie alla luce del fatto che queste compagnie dichiarano alla SEC (la “Consob americana”) profitti consolidati che raggiungono in alcuni casi il 30% dei ricavi.