Lavorare da Belluno. Elogio della solitudine iperlocale

Non è facile spiegare il perché di una scelta come quella di vivere in provincia senza cadere nel retorico e senza esporsi troppo nel raccontare la propria intimità. È molto più semplice esternare il “come” piuttosto che “perché” lavoro in giro per l’Italia, talvolta anche fuori Italia, vivendo fieramente a Belluno. A dire il vero è la prima volta che mi metto a ordinare le idee nero su bianco, e ringrazio super Michele Sacchet che mi ha lanciato questa sfida, oltre a essere colui che mi ha aiutato a trovare la casa che desideravo proprio qui a Belluno, quella da cui lavoro appunto dalla montagna, e dal cui balcone scrivo anche ora guardando il Nevegal.

Per farla breve, io sono una giornalista e mi occupo prevalentemente di salute, sanità e ambiente. Questo è quello che dico quando voglio tagliare corto, cioè quasi sempre, dal momento che raccontare il mio lavoro non è semplice, perché quando dico che sono una giornalista ci si figura l’immagine bohemienne della cronista che passa le giornate alla ricerca di notizie che appunta su brogliacci sgualciti e che scrive durante la notte. E la reazione è: “ma e come fai da Belluno, scusa?” In realtà il mio lavoro è tutta un’altra cosa. Io sono una libera professionista che fra le altre cose scrive articoli giornalistici per riviste scientifiche e non, prevalentemente online, ma che oltre a questo offre servizi di ufficio stampa, gestione social media e consulenza per progetti di comunicazione di diverso tipo sempre in ambito sanitario per enti pubblici (ASL, Congressi Scientifici, Progetti Universitari) o privati (case editrici scientifiche, agenzie di comunicazione).
Pur facendo base prima a Longarone e ora da Belluno, non ho mai lavorato finora con realtà bellunesi, anche se spero accadrà prima o poi. Collaboro con giornali e riviste che hanno sede altrove, a Milano, a Roma, a Trieste, a Perugia, a Torino, a Venezia, a Pisa, e lo stesso vale per il resto delle attività che svolgo, dei progetti in cui vengo coinvolta. (Più dettagli qui )

Il punto centrale è la possibilità di lavorare in remoto, cosa che è resa possibile da internet, che mette a disposizione piattaforme gratuite come Slack – solo per citarne una – che permettono di collaborare con colleghi che fisicamente si trovano da altre parti d’Italia o del mondo. Abbiamo Skype per parlarci anche faccia a faccia gratuitamente ovunque nel mondo e fare interviste agli esperti (e fare anche degli apertivi spritz alla mano con amici dall’altra parte del globo!), Google Drive e Dropbox per condividere documenti e lavorarci a 4 o più mani come se ci trovassimo sullo stesso tavolo. E soprattutto abbiamo la rete, che ci permette anche da casa nostra di accedere a documenti, informazioni, database, come se mi trovassi in un ufficio cittadino qualsiasi.
Poi, se si presenta la necessità di essere sul posto per qualsivoglia ragione, fortunatamente basta prendere un treno o un aereo. Il mio personale compromesso è aver scelto una casa in un luogo tranquillo e verde, ma dal quale potessi raggiungere a piedi la stazione ferroviaria, dato che di treni ne prendo parecchi.

Certo, non tutti i lavori si prestano a questo tipo di modalità operativa, ma credo che la maggior parte dei lavori fra virgolette “intellettuali” oggi lo permettano. E credo – e questo è il nocciolo di questo mio piccolo contributo – che tutto questo possa portare vantaggi tangibili sia alla nostra dimensione personale, ma anche al vivere in provincia, e più in generale nel diffondere la cultura del “contro-inurbamento”, nel senso della non necessità di un inurbamento forzato.

Scuserete la lunga premessa in cui ho dovuto blaterare su quel che faccio, ma altrimenti sarebbe parso un po’ oscuro ciò che segue. E mi perdonerete se ora questo post diventa a tratti ancora più personale. In me il “come” e il “perché” citati in apertura vanno necessariamente a braccetto. In questi pochi anni da che ho iniziato a lavorare ho cercato di adattare la mia immagine di come deve essere il lavoro a un’idea di vita che ritenessi più giusta per me. Ovviamente il nocciolo della faccenda è che io sono fatta così: a me piacciono la natura, la calma, i luoghi non affollati. Mi piace che intorno a me ci siano piante e fiori e mi piace poter dire di no e dedicare il mio tempo il più possibile a cose che mi interessano sul serio. Non mi piacciono i palazzoni, il traffico, non mi piace chi crede di vivere “nel mondo” solo perché ha molta gente intorno. Sono cresciuta a Longarone in un contesto verde, e quella è la mia partenza, e anche il mio arrivo.
Proprio ieri ho letto “Le Otto Montagne” di Paolo Cognetti. Meraviglioso, ho avuto gli occhi lucidi in più di un passaggio. Uno invece mi ha fatto sorridere: “Non l’hanno mica scelto – disse. Se uno va a stare in alto, è perché in basso non lo lasciano in pace” – “E chi c’è in basso?” – “Padroni, Eserciti. Preti. Capi reparto. Dipende.”
Forse per me stare qui ha anche un effetto terapeutico per bilanciare il fatto che il mio lavoro è essere connessa tutto il giorno, interagire continuamente con persone, specie via social media, dove si discute poco e si litiga tanto. E dove viene fuori il peggio di noi.

La solitudine, non si può non nominarla. L’ho usata anche nel titolo. Non aggiungo altro in proposito a ciò che disse Fabrizio De André

Continua su Le Dolomiti Bellunesi

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