Il cancro in carcere. Un sistema senza dati.

Questa chiacchierata con Nicola Cocco, che da anni segue la salute nelle carceri, mi ha molto colpita.

A oggi non esiste un database nazionale sui tumori di detenuti e sulle cure oncologiche effettuate da chi è in carcere. Non sappiamo, insomma, quante diagnosi di tumore vengono registrate ogni anno, non conosciamo la prevalenza delle diverse patologie oncologiche, né l’esito delle cure di questa popolazione. Per i carcerati, inoltre, non esiste un’offerta coordinata di screening per la diagnosi precoce o di vaccinazione contro patogeni oncogeni a cui la popolazione carceraria può essere particolarmente esposta, come i virus dell’epatite B e del Papillomavirus.

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Lo smart working fa bene alla salute mentale. Il primo studio ventennale (che non considera gli anni di pandemia) 

Uno studio condotto su oltre 16.000 lavoratori australiani fornisce nuove evidenze sui benefici dello smart working, rivelando un effetto particolarmente positivo per le donne (meno per gli uomini), soprattutto per chi parte da condizioni di salute mentale più fragili. L’analisi è basata su dati ventennali della Household, Income and Labour Dynamics in Australia Survey (HILDA).
Un elemento fondamentale è che i ricercatori hanno escluso dall’analisi i due anni iniziali della pandemia di COVID-19 per evitare che fattori straordinari influenzassero i risultati. Grazie all’uso di modelli panel con “home-job fixed effects”, sono stati isolati gli effetti dello smart working e del pendolarismo da altri shock personali, come cambi di lavoro o trasferimenti, permettendo di osservare come la salute mentale evolvesse in relazione alle modalità di lavoro. L’analisi ha evidenziato ad esempio che il tempo di pendolarismo non ha effetti significativi sulla salute mentale delle donne, mentre per gli uomini con fragilità psicologica un aumento del tragitto giornaliero può ridurre il benessere mentale, seppure in maniera quantitativamente modesta.

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C’è chi prova a immaginare gli Usa con molte meno armi entro il 2040. In 5 punti 

Secondo uno studio pubblicato nel 2025 su PNAS, in media le famiglie americana sarebbero disposte a pagare 744 dollari l’anno per ottenere una riduzione del 20% del tasso statale di violenza da armi da fuoco — una misura tangibile del costo sociale e psicologico di un problema che rimane una delle più gravi emergenze di salute pubblica negli Stati Uniti. La disponibilità a pagare da parte delle famiglie cresceva con l’aumentare del reddito familiare, con la valutazione del rispondente sulla gravità della violenza armata nella propria comunità ed era maggiore più alta era la probabilità di diventarne vittima. Le politiche statali variano ampiamente, e laddove vi sono leggi più permissive sull’acquisto e il porto d’armi troviamo tassi di mortalità più elevati.

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