Profezie pandemiche

In queste lunghe settimane, che sono ormai due mesi, è sempre più difficile per me fare questo mestiere. Non so cosa voglio dire, cosa devo dire.
Abbiamo imparato che il giornalista per essere bravo deve saper essere un po’ profeta, un buon profeta. C’è la corsa a essere la sentinella che si arrampica più in alto sull’albero maestro della nave.
C’è una frase attribuita a Niels Bohr, che però a quanto pare non è sua, che dice «È difficile fare previsioni, soprattutto sul futuro». Bohr è stato parte centrale della mia prima tesi di laurea, e ci sono da sempre affezionata.
Le previsioni, come le ho sempre intese nel io piccolo lavoro, altro non sono che immaginare correlazioni. Dico proprio immaginare, perché alla fine nella scelta di un taglio o di un altro nei nostri pezzi siamo sempre guidati da un’intuizione. Spesso sbagliata, brodaglia.

Così la neve al sol si disigilla;
così al vento ne le foglie levi
si perdea la sentenza di Sibilla.

Eh Dante. Mentre per dirla con quel genio di Guzzanti: “La risposta è dentro di te, ma è sbagliata”.

Forse molto banalmente io non sono una buona profetessa, anzi in realtà l’ho sempre pensato, non solo nei grandi Fatti, ma anche nella mia vita spicciola. Ogni volta che sento una notizia importante, che mi trovo a dover valutare un fatto, le possibilità che mi si parano davanti sono così numerose, che non mi è mai così chiaro quale sia la strada maestra.

Anche su “dove stiamo andando” ora, durante questa pandemia, non riesco per nulla a profetizzare alcunché, e quindi a valutare quanto le profezie di altri siano probabili.
Non c’è una formula. Ci sto provando con i dati, per lo meno a chiarirmi di quali dati avremo bisogno per capire che cosa sta avvenendo, mano a mano che le cose succederanno. Mi sembra la via più onesta.

Ma davvero è bene investire tutte le nostre energie per profetizzare? Serve profetizzare per cambiare le cose?

Mi interrogo sulle Grandi Utopie, per esempio del Novecento, e penso chissà se Lenin aveva interpretato la sua come una profezia. Alla fine non si è rivelata una buona profezia, ma il mondo lo ha cambiato ugualmente. Chiaramente se qualcuno di voi ha una risposta, vi prego di comunicarmela.

Scusate il blatericcio.

La foto qui sotto è Breslavia a inizio Novecento. Io non amo viaggiare, ma vorrei prima o poi recarmi a Breslavia, per capire perché questa città ha prodotto in poco tempo tanto pensiero: Edith Stein, Dietrich Bonhoeffer, Günther Anders, Max Born, Ernst Cassirer, Felix Hausdorff, Otto Klemperer, Friedrich Schleiermacher, Christian Wolff…

lk

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