“Mi sono sentita per molti anni una malata immaginaria”, mi racconta Carla. Lungo tutta la nostra chiacchierata, complice un pomeriggio particolarmente uggioso, la parola solitudine ritorna in più occasioni. Mi rendo subito conto che per lei, almeno, il percorso prima e dopo la diagnosi di fibromialgia è stato silenzioso, non libero di esprimersi. Le cose sono cambiate a un certo punto, quando Carla ha incontrato l’Associazione italiana sindrome fibromialgica, e ha deciso di aprire la prima sede territoriale a Belluno. Ma i sorrisi, e l’energia vitale, sono arrivati dopo.
Prima c’è stato molto cammino, anzitutto per capire che si trattava davvero di fibromialgia, poi per spiegare agli altri – raramente con successo – cos’era questa strana sindrome. Percepisco che forse l’amarezza più grande per Carla è sapere che, a distanza di vent’anni dalla diagnosi, c’è chi pensa che si sia trattato alla fine di una brutta depressione, ricca di fissazioni e di fisime. Quell’amarezza sottile ma feroce di quando speri che le persone prendano atto della propria sordità, ma ti rendi conto che nel tuo caso non sarà così. Come scagliarsi costantemente contro un muro di gomma che ti rimbalza indietro.