Secondo quanto si evince dall’ultimo rapporto di Istat e Banca d’Italia sulla ricchezza delle imprese non finanziarie italiane, queste ultime sarebbero poco indebitate rispetto a quelle di altri grandi paesi europei. Meglio di noi ci sono solo le imprese tedesche. Dal computo sono esclusi per esempio gli istituti di credito mentre sono incluse tutte le società e quasi-società private e pubbliche, fra cui le aziende autonome, le Ferrovie dello Stato, le aziende municipalizzate e consortili, le imprese a partecipazione statale, e le altre imprese pubbliche.
Alla fine del 2017 i debiti finanziari rapportati al valore delle attività non finanziarie ammontavano al 45%, un valore che non è variato dalla fine del 2005, che collocava le imprese italiane nel gruppo delle meno indebitate. Valori più elevati dei debiti in rapporto alle attività non finanziarie sono stati osservati nello stesso anno per le imprese canadesi e francesi (rispettivamente 88% e 82%), mentre l’indebitamento ha inciso in misura minore sulle imprese tedesche (39%).
Ma da dove deriva la ricchezza delle imprese italiane? Oggi oltre un terzo della ricchezza delle imprese deriva da ciò che posseggono, i due terzi dal valore aggiunto che producono. Il 63% proviene infatti dal cosiddetto patrimonio non finanziario, cioè dagli edifici posseduti, da impianti e da macchinari, mentre il 32% deriverebbe dalla componente finanziaria: titoli, azioni, depositi, derivati e riserve assicurative.
Gli immobili non residenziali incidono per il 25% della ricchezza lorda delle imprese, mentre gli impianti e macchinari per l’11%. Le altre fette più consistenti sono dovute alla rendita delle azioni e di altre partecipazioni (14%) e dagli altri conti attivi (13%), che includono principalmente crediti commerciali. Si osserva che complessivamente i crediti commerciali bilanciano i debiti che troviamo tra le passività.
Il peso della parte finanziaria risulta comunque in crescita dal 2013, raggiungendo nel 2017 quota 1.840 miliardi di euro.