«Ama il prossimo tuo» di Enzo Bianchi e Massimo Cacciari

Schermata 2018-11-14 alle 15.45.48.pngProprio ieri leggevo questo libretto, capitatomi fra le mani un po’ per caso, acciuffato con la coda dell’occhio. Ma come scriveva Alan Bennett parafrasando E.M.Forster “La coda dell’occhio non sbaglia, non inganna. Solo quello che vedi con la coda dell’occhio ti tocca nel profondo.”

Mentre leggevo queste poche pagine mi scorrevano davanti i tweet, i post e le immagini di chi stava testimoniando l’ennesimo disumano sgombero del campo Baobab, a Roma. Uno di quei momenti in cui ti vergogni di essere bianco e ricco, di appartenere ai “vincitori” della storia. Quelli che ieri avevano in mano una spada, oggi una ruspa come arma risolutiva per la povertà.

Questo tweet in particolare mi ha toccato, perché ho pensato che ci sono dei momenti dove alla rabbia e allo sconcerto di fronte alla banalità del male e allo svuotamento di significato dei gesti, si sostituisce come ultima forma di difesa la distanza della disappartenenza. E penso che quando si apre il solco della disappartenenza sia una sconfitta per tutti, anche per chi ha ragione.

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I miei pensieri sull’esperienza del Baobab si accompagnavano – dicevo – alla lettura di questo libretto. Che consiglio specie a chi conosce Cacciari solo per le comparsate in televisione (che pure sono utili) ma che forse lo schiacciano un po’ nel personaggio, lasciandone in ombra la brillantezza del pensiero filosofico.

Oggi va molto di moda parlare di “buonismo”, specie se si prova a dire qualcosa circa il fatto che dobbiamo aiutare chi ha bisogno, quando possiamo, riferendoci al fenomeno migratorio. “Eh, ma mica son tutti bravi sa’?!?”. Qui Bianchi e Cacciari offrono una prospettiva molto onesta, e di certo non tacciabile di buonismo da chi ne fraintende il significato. “Amare” il proprio prossimo, che sia sodale o avversario, buono o cattivo, non deve dipendere da ciò che ci torna indietro da questo nostro gesto. Non è la gratificazione della gratitudine che deve muoverci, non è la filantropia, dicono, ma qualcosa di più originario.

Forse dovremmo allenarci di più a sentirci chiamati in causa e – con Emmanuel Levinas – a sentire la Responsabilità dell’Altro. Anche se c’è il rischio che qualcosa ci deluda.

Mi ha folgorato in particolare questo paragrafo:

«Il Samaritano diviene prossimo non perché filantropo, ma perché il suo cuore si spacca. Alla vista di quell’orribile spettacolo le viscere gli scoppiano in pezzi. Il termine Misericordia è un’esangue traduzione dell’Esplanchnisthé evangelico. La parola del corpo precede ogni logos e ogni azione consapevole. Non vi è amore in nessun senso, che sia puro dal perturbante di questo colpo. Il mezzo morto colpisce al cuore il samaritano ed egli deve rispondergli perché soltanto così può rispondere alla sua stessa ferita».
M. Cacciari

In sintesi, la differenza umana. Per me almeno.
Un piccolo volumetto che pianta qualche semino, in modo molto laico.

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