APPROFONDIMENTO – Nei giorni scorsi è apparso sul New York Times un interessante articolo a firma di Mark Rank, sociologo della Brown School alla Washington University di St. Louis, e studioso di disuguaglianze sociali e social welfare, dal titolo molto chiaro: “The Cost of Keeping Children Poor”, quanto ci costa non combattere adeguatamente la povertà infantile.
La tesi di fondo è che al capitalismo stesso ridurre la povertà infantile conviene.
Abbattere la povertà infantile è fondamentalmente una scelta politica – chiosa Rank – e se vogliamo iniziare a cambiare davvero la direzione delle cose dobbiamo discutere la questione in termini di benefici economici. Dobbiamo iniziare a pensare a questo come a un dovere giustificato non solo da una prospettiva di giustizia sociale, ma anche dal punto dei vista del rapporto costi-benefici. Altrimenti detto: un capitalismo senza bisogno della povertà è non solo possibile ma addirittura sostenibile.
Il concetto di fondo non è nuovo, ed è quello secondo cui “un grammo di prevenzione vale un chilo di cura”. Rank e colleghi, in uno studio pubblicato lo scorso marzo su Social Work Research, hanno calcolato che per ogni dollaro speso per ridurre la povertà in età evolutiva, un sistema paese come gli Stati Uniti risparmierebbe 7 dollari di spesa per affrontare le conseguenze della povertà sociale.
Certo – viene da aggiungere – per rendere il circolo davvero virtuoso è necessario che poi questi 7 dollari risparmiati vengano a loro volta spesi in prevenzione e in servizi per tutti.
Certo, tutto questo senza dimenticare di insistere parallelamente sul valore morale di combattere la povertà infantile, come commenta su Twitter Sir Michael Marmot.